Il piccolo gruppo di Cristo

Il piccolo gruppo di Cristo è una comunità cattolica di cristiani comuni, che, consapevoli di essere stati creati, rigenerati e santificati da Dio, cercano di aiutarsi reciprocamente a cooperare alla salvezza e santificarsi vivendo la vita eterna nella vita presente, mediante una più piena donazione a Dio, che rinnovi e valorizzi la consacrazione ricevuta nel battesimo.

In particolare, il Gruppo si propone, per meglio essere del Signore, di abbracciare i valori delle beatitudini evangeliche vivendo in famiglia, sparsi nel mondo come sale e lievito e come un piccolo resto, e cercando di costruire la Città sul Monte (di cui parla il Vangelo) lavorando, pregando e facendo opere di bene senza pretendere nessuna ricompensa.

Nato a Milano nel 1957 e riconosciuto nel 1984 dall’Arcivescovo di Milano, Cardinal Carlo Maria Martini, come associazione privata di fedeli di diritto diocesano, è riconducibile alla tipologia delle nuove comunità di vita evangelica menzionate dal Papa San Giovanni Paolo II nella esortazione apostolica Vita Consecrata del 1996.

Nello spirito del “piccolo resto” e del “piccolo gregge”, il Piccolo Gruppo cerca di radicarsi sempre più nella vita della Chiesa [1], attraverso la comunione ecclesiale [2] e grazie alla guida e all’insegnamento dei Pastori [3], del cui incoraggiamento specifico ha potuto beneficiare nel corso della sua storia.

Le origini nello scantinato

Il Gruppo ebbe origine a Milano la sera del 10 febbraio 1957 ad opera del laico Ireos Della Savia (morto nel 2020), insieme al quale alcuni giovani, accomunati dal desiderio di aiutarsi a salvarsi in un mondo che si stava scristianizzando, cominciarono a riunirsi settimanalmente, nella parrocchia di San Pio V, perlopiù nello scantinato, per meditare la Parola di Dio e per scambiarsi le proprie esperienze di vita cristiana. Lavorando, pregando, facendo apostolato, e soprattutto volendo attuare in famiglia la propria perfezione sotto la guida di un responsabile, decisero di impegnarsi a praticare le virtù evangeliche, cercando di realizzare così l’ideale di Comunità dei primi cristiani. Fra di loro, alcuni accolsero la chiamata al matrimonio, altri invece quella al celibato. Pur nella diversità caratteristica delle due vocazioni celibataria e sponsale, i membri della Comunità continuarono a seguire lo stesso cammino e la stessa offerta di se stessi a Dio.

Gradualmente il Gruppo si allargò, accogliendo così al suo interno uomini e donne, sposati e celibi, giovani e anziani, persone diverse non solo per estrazione sociale, professione, cultura, provenienza geografica, impegno sociale ed ecclesiale, ma anche per modalità di appartenenza e partecipazione alla vita del Gruppo.

Dal 1993 alla Comunità possono essere congiunte in Fraternità spirituale persone che esprimono il proposito di condividerne la vocazione adattandola alla propria realtà; dal 1997 accanto al gruppo si è sviluppato il Cenacolo Evangelico, in cui ci si aiuta a essere cristiani così come si è.

L’ideale della città sul monte

Fin dall’inizio, il Piccolo Gruppo di Cristo trasse ispirazione dalla pagina evangelica del discorso sul monte (programma di vita dato da Gesù al suo gruppo di discepoli) e dall’immagine biblica della Città sul Monte in essa accennata. Tale città, in cui si vivono le beatitudini, è fatta di case (e di famiglie) fondate sulla roccia delle virtù evangeliche ed è (secondo l’Apocalisse) illuminata dalla luce dell’Agnello; in essa manca il Tempio, perché è ripiena della presenza stessa di Dio; se da una parte essa non può rimanere nascosta, d’altra parte essa deve essere sparsa sulla terra come il sale nel cibo; e se il suo scopo è che gli uomini al vederla rendano gloria a Dio, tuttavia deve essere costruita lavorando, pregando e facendo opere di bene nel segreto, senza pretendere nessuna ricompensa, perché Dio, che vede nel segreto, possa ricompensare i suoi costruttori. Da questa «icona» il Gruppo ha preso i suoi tratti caratteristici nella pratica delle virtù evangeliche, nella mutua valorizzazione del celibato e del matrimonio, nel carisma apostolico, nella spiritualità e nella vita comunitaria.

La vita in famiglia secondo le Beatitudini

Sapendo che quanti il Signore ha fatto perciò «sono suoi, suo popolo e gregge» che non ha da temere, perché al Padre è piaciuto di dar loro il suo Regno, e che perciò sono «beati», il Gruppo desidera mettersi nell’atteggiamento dei «piccoli di Cristo» in una vita evangelica alla ricerca delle perfezione della carità nelle realtà quotidiane, mediante una «più» completa donazione a Dio.

Per abbracciare i valori delle beatitudini evangeliche e per imitare la vita di Gesù, il Gruppo si propone pertanto di vivere con animo sereno la purezza del cuore e del corpo, la povertà spirituale e materiale, l’ubbidienza indicata dall’amore di Cristo, così da poter meglio amare Dio con tutto il cuore, e tutte le persone, preferendo le più bisognose, rispettando nel loro essere tutte le realtà create. La povertà evangelica comporta una certa limitazione e dipendenza nell’uso dei beni personali, al fine di amministrarli rettamente in un costante contributo di carità verso Dio, se stessi e il prossimo, ossia alimentando la vita interiore e favorendo la solidarietà con i più poveri. La castità impegna ciascuno secondo il suo stato di vita a riconoscere a Dio il dominio sul proprio cuore e sul proprio corpo, al fine di riuscire meglio, attraverso la purezza (specchio radioso di luce divina), a vedere e a far vedere l’infinito amore di Dio. L’obbedienza filiale a Dio spinge a ricercarne la volontà nel discernimento spirituale, a far proprio il magistero del papa e dei vescovi, oltre che a formarsi al senso dell’obbedienza anche nella società umana.

Il Gruppo aspira a vivere una vita intessuta di preghiera, per meglio inserirsi nell’intimità filiale dei piccoli di Dio. La preghiera personale, centrata sull’eucaristia e alimentata dalla confessione, comprende la meditazione, l’orazione (nelle forme liturgiche, ma anche col rosario), l’adorazione eucaristica e l’esame di coscienza; si vivono i tempi penitenziali previsti dalla Chiesa e giornate periodiche di ritiro ed esercizi spirituali.

Caratteristica del Gruppo è la compresenza di celibi e sposi nella stessa comunità e con la stessa vocazione di donazione a Dio. Mentre infatti le virtù evangeliche sono ramificazioni dell’unica grazia, data da Dio per la santificazione personale e uguale per tutti i cristiani, invece il matrimonio e il celibato sono carismi complementari diversi distribuiti da Dio per l’edificazione della Chiesa: infatti «ciascuno ha il suo dono da Dio». Pertanto in entrambi gli stati di vita è possibile la medesima radicalità evangelica. Dal momento infatti che il comandamento di amare Dio con tutto il cuore (ossia con cuore indiviso) è rivolto a tutti i credenti, a tutti deve essere possibile di realizzarlo.

In questo modo la compresenza di celibi e sposi rende più evidente la grandezza inesprimibile dell’amore di Cristo Sposo della Chiesa. Gli sposi devono perciò alimentare in sé un cuore verginale (guardando ai celibi), mentre i celibi devono alimentare in sé un cuore sponsale e paterno o materno (guardando agli sposi): in maniere diverse celibi e sposi devono così cercar di fondare la propria famiglia sulla roccia delle virtù evangeliche per avere un cuore vergine da offrire totalmente a Dio.

In particolare, gli sposi non solo si impegnano con maggior forza al rispetto della legge di Dio, secondo i dettami della Humanae Vitae, ma accolgono il consiglio paolino di praticare l’astinenza periodica per cercare di purificare l’atto di amore da ogni residuo di concupiscenza e alimentare la vita di preghiera; chiamati ad amare Dio con tutto il cuore (e perciò con cuore indiviso), devono in Dio amare il coniuge e i figli, primizie del prossimo da amare come se stessi. Dato il carattere eminentemente personale della vocazione, non è necessaria l’appartenenza al Gruppodi entrambi i coniugi. I celibi per il Regno devono con la loro offerta alimentare il servizio a Dio e al prossimo e con la loro presenza ricordare l’esigenza di amare Dio con cuore indiviso e testimoniare la vita eterna in cui non si prende più moglie né marito. Infine quelli in ricerca del proprio stato di vita si impegnano a sceglierlo per vocazione e non per interesse egoistico. I vedovi possono scegliere di rimaner tali in vista del Regno.

Il carisma del sale e del lievito

Quello del Gruppo è un carisma senza carismi evidenti, espresso dalle immagini evangeliche del sale, del lievito e del piccolo granello di senapa. Il Gruppo non ha perciò una particolare proposta cristiana o apostolica da fare, ma propone la fede stessa, vissuta non al minimo, ma puntando al «di più» della donazione a Dio.

In virtù di questo carisma, gli appartenenti al Gruppo ricercano in particolare la virtù dell’umiltà, per essere graditi a Dio e per favorire la comunione fra gli uomini, promovendo il dialogo e la comunione nel mondo e nella Chiesa: essi sono perciò chiamati al duplice impegno di ordinare le realtà temporali secondo Dio (mediante l’impegno familiare e professionale ma anche, secondo le possibilità e le necessità, culturale, sociale o politico) e di essere strumenti di salvezza tramite la testimonianza di una umile e fedele presenza, e tramite l’annuncio del Vangelo ai poveri che sono sempre fra noi.

Proprio per rispettare i carismi personali e metterli a servizio di tutti, la comunità non ha opere proprie, ma indirizza ciascuno, secondo le sue possibilità e le necessità esistenti, a mettersi a disposizione della Chiesa locale, in forma individuale o nelle diverse aggregazioni ecclesiali finalizzate all’apostolato.

La spiritualità del resto

Il Gruppo cerca di fare proprio lo spirito del «piccolo gregge» e del «piccolo resto d’Israele» e di gioire insieme a Cristo nello Spirito Santo perché il Padre ha rivelato e dato il suo Regno ai piccoli.

Quella del Gruppo è perciò una spiritualità trinitaria, volta a inserire il cristiano (con Maria) nella comunione d’amore della Trinità, mediante Gesù Cristo, che per amore si è fatto uomo («nostro fratello Dio»), è morto per noi sulla croce, ed è vivo e presente nell’Eucaristia come Agnello e Pastore, che illumina e guida con la sua presenza la Chiesa e la comunità. In questo spirito, ovvero «con animo sereno», il Gruppo vuole contribuire a costruire la Città sul Monte, che illuminata dalla luce dell’Agnello possa far intravedere agli uomini la realtà già presente della vita eterna, in cui veniamo formati in questo mondo come in una placenta, per nascere poi un giorno a vita nuova.

Perciò la Messa, «vita della nostra vita», deve trasformare tutta l’esistenza in una eucaristia fatta comunione per aiutare il popolo di Dio; similmente il Vangelo deve essere abbracciato come la persona viva di Gesù Cristo e letto come la storia della nostra vita (poiché tutto ciò che nel vangelo si dice di Cristo, a parte i miracoli, si deve poter dire in qualche modo anche di ogni cristiano).

Particolare importanza ha l’imitazione della vita di Cristo, soprattutto quando per trent’anni a Nazaret (come «figlio del falegname») era confuso fra la gente; ma anche la devozione a Maria, l’umile serva del Signore, che ha avuto il privilegio di unire in sé la vocazione verginale e sponsale e che a Cana ha indicato il modo per trasformare l’acqua dell’amore umano nel buon vino della carità di Cristo.

La vita di ciascun membro del Gruppo deve rispondere così a questo invito ideale di Cristo: «Lavora, prega, fai opere di bene senza pretendere nessuna ricompensa: ti vedrò». In questa prospettiva, non deve mancare a ciascuno l’aspirazione (pur nella vita ordinaria) alla contemplazione, così che il suo vivere quotidiano, tutto abbandonato a Dio, possa evidenziare il fine della nostra vita che è la pace, ossia la partecipazione umana alla gloria divina.

La vita in comunione, ma non in comune

La Comunità è intesa come la messa in comune della vita personale dei singoli, nella reciproca condivisione (rispettosa ma vera) di beni spirituali e materiali, al fine di stabilire all’interno e di estendere all’esterno una comunione leale e fraterna, secondo l’amore che esiste nella Trinità. Nella Comunità si inserisce la Fraternità, famiglia spirituale di persone congiunte al Gruppo condividendone la vocazione, pur senza particolari vincoli comunitari; accanto alla Comunità si sviluppa il Cenacolo Evangelico, per chi vuole scoprire o ravvivare in sé la vita cristiana.

La vita comunitaria del Gruppo si esplica negli incontri settimanali, nelle convivenze annuali, nella sollecitudine reciproca di carità e nel legame di amicizia spirituale e umana al fine di costruire una autentica famiglia di famiglie. Proprio per il carattere di ordinarietà della vocazione del Gruppo, non è prevista vita in coabitazione se non in circostanze molto particolari. Poiché in Gruppo vengono a convergere il cammino personale e quello comunitario, momenti caratteristici della vita di comunità sono l’incontro comunitario e il colloquio personale con il proprio responsabile.

Gli incontri comunitari settimanali hanno come caratteristica la formazione continua secondo le esigenze sempre nuove della vocazione, l’ascolto della Parola di Dio, lo scambio di esperienze personali e la revisione di vita, come in un’agape fraterna.

Il colloquio periodico (e possibilmente mensile) che ogni membro della Comunità ha con il suo responsabile personale è un mezzo di discernimento della volontà di Dio e di accompagnamento spirituale nel cammino.

La guida della Comunità nel suo insieme è affidata al Responsabile Generale e al Consiglio eletti ogni quattro anni dal Congresso; ferma restando la potestà del Responsabile Generale su tutta la comunità, egli delega ai responsabili personali la guida dei singoli.

Il Gruppo è articolato in comunità locali, a loro volta suddivise (se il numero lo richiede) in piccoli nuclei di una decina di persone al massimo, sotto la guida di coordinatori.

Sono membri del Gruppo a tutti gli effetti coloro che, dopo aver compiuto il periodo di aspirantato, si impegnano a vivere la vocazione del Gruppo nella Comunità; sono membri congiunti coloro che, al termine dell’aspirantato, si ripromettono di condividere lo spirito del Gruppo nella Fraternità, senza particolari vincoli comunitari; sono considerati simpatizzanti coloro che sono vicini a vario titolo al Gruppo, condividendone la spiritualità senza però farne propriamente parte.

L’aspirantato è il periodo di almeno quattro anni, in cui l’aspirante sotto la guida del maestro e del proprio responsabile personale aspira ai carismi più grandi ripercorrendo la via della fede, della speranza e della carità: durante i primi tre periodi approfondisce in generale la vita cristiana, ricevendo una catechesi sistematica sul Credo, sul Padre Nostro e sui Comandamenti e una formazione personale alla vita di fede, di preghiera e delle virtù evangeliche, al fine di scoprire la propria vocazione, che può anche essere diversa da quella del Gruppo; il quarto periodo è invece finalizzato all’approfondimento della Costituzione e all’assimilazione della spiritualità e del carisma del Gruppo. Dall’aspirantato sono scaturite anche alcune vocazioni alla vita presbiterale e a quella religiosa, attiva e contemplativa. Gli aspiranti prendono parte alla vita del Gruppo pur con momenti specifici dedicati alla loro formazione.

Per compiere la volontà che Dio ha nei confronti di ciascuno, i membri del Gruppo si impegnano, dopo la conclusione dell’aspirantato, a lasciarsi costruire dal Signore attraverso una formazione permanente, che prevede anche incontri mensili di aggiornamento delle principali tematiche della vita cristiana e della vocazione alla luce dei fermenti sempre nuovi nella Chiesa e nel mondo. In particolare, il decimo anno di appartenenza alla Comunità è dedicato alla verifica della propria personale donazione a Dio, mentre ogni dieci anni dalla fondazione viene proposto a tutto il Gruppo un «anno sabbatico» di revisione comunitaria e di riflessione sul carisma ricevuto.