Una sventagliata di pensieri spirituali – Il comandamento più grande

«Ascolta, o Israele: Il Signore Dio nostro è l’unico Signore. Tu amerai il Signore tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze. E questi precetti che oggi ti do ti stiano fissi nel cuore; li insegnerai ai tuoi figli, li mediterai in casa e lungo il viaggio, andando a dormire e alzandoti. Te li legherai come un segno alla mano; li terrai come frontali tra gli occhi, li scriverai sugli stipiti e sulle porte della tua casa» [1].

Penso di non forzare il pensiero della Sacra Scrittura nel ritenere che Israele significhi la Chiesa, e perciò che l’invito fatto nell’antico testamento agli ebrei sia valido per i cristiani.

Come è mia consuetudine anche in questo caso tendo ad allargare il mio spirito e a far sì che la Parola, come il sacrificio della redenzione e l’estensione spirituale del battesimo, abbracci tutta l’umanità (anche quella non credente) e quindi per mezzo del grande libero amore divino penso che Dio parla e sorregge, anche se in modo a noi misterioso, ogni creatura.

Per me è importante dilatare lo spirito di carità e al seguito del Padre sentirmi volontariamente in comunione con tutte le persone, sapere che Dio nel suo infinito amore vuole raggiungere ogni persona e a tutti donare sé stesso. Per questo in me non crea confusione e non intacca la mia purezza di fede estendere il mio amore di carità a tutto il mondo; considerare membro della Chiesa in senso ampio ogni creatura che nel nome dello Spirito a loro sconosciuto, e nell’amore della stessa Chiesa da essi ignorata, vivono nell’ignoranza della verità rivelata, ma si comportano con retta coscienza.

Ritengo la parola di Dio indirizzata anche a chi non la conosce, oppure a chi non si è sentito di accoglierla perché non l’ha capita. Mi sorregge in questo pensiero la prima lettera di Giovanni: «È lui la vittima espiatrice per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» [2].

Quanto ho scritto finora potrà sembrare una mia divagazione superflua, ma invece la ritengo necessaria per comprendere meglio l’animo aperto e missionario con il quale accolgo il brano dell’Antico Testamento.

La mia coscienza vuole essere fedele alla tradizione della Chiesa, alle sue leggi, ai suoi precetti, ai suoi consigli, ma nello stesso tempo desidero essere umilmente una piccola punta di diamante, che nello spirito ecclesiale vuole cogliere le novità che emergono dalle sane esigenze del popolo in diaspora, il quale da essa si attende verifica, controllo, grazia, incoraggia­mento, e sostegno.

Prima di addentrarmi a meditare le frasi del Deuteronomio desidero precisare che non intendo esprimere un pensiero teologico, dato che non ne sarei capace, ma semplicemente cogliere in stato di preghiera e constatazione pastorale ciò che la nostra comunità sta vivendo, anche se con intensità diversa da persona a persona.

Quello che Dio disse nell’Antico Testamento era valido allora come è valido oggi, e lo sarà sempre. Infatti l’invito ad amare Dio non lo ritroviamo soltanto nell’Antico Testamento, ma anche in quello Nuovo, e nel costante insegnamento della chiesa.

Ritengo che non sia necessario prendere alla lettera i versetti 8 e 9 del capitolo VI del Deuteronomio, in quanto è meglio coglierli nel loro valore simbolico che può incidere nella mutata realtà culturale.

A me pare che il brano che abbiamo scelto di meditare, e che nel Deuteronomio viene chiamato precetto, è importante; infatti la chiesa in luce evangelica lo valorizza e ce lo offre come comandamento. Esso ha un valore fondamentale per cui vale la pena di meditarlo sovente, per scoprire meglio le varie sfaccettature che contiene e che ora mediteremo solo in parte.

L’invito ad amare Dio in modo totale è rivolto a tutto il popolo; quindi ogni persona, qualunque sia la sua situazione reale e vocazionale è investita da questo invito: «Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore».

Questo “tu” per ogni persona diventa il proprio “io”, mentre nel “Tu, Israele” si identifica la Chiesa in senso ampio con tutta la famiglia umana. Quindi questo comando nel nome di Dio è diretto a tutte le creature umane. Questa sua parola ci accomuna tutti, e, se in senso stretto ci fa popolo ecclesiale, con più ampiezza abbraccia tutta l’umanità creata dal Padre, redenta dal Figlio, e affidata allo Spirito Santo.

Questo invito una volta accolto non può restare chiuso in un proprio scrigno, ma va vissuto con interiore vitalità e diffuso con impegno missionario. Questo precetto viene rivolto a tutto il popolo israelita (e, non essendo presente allora il celibato come forte valore religioso) senza equivoci risulta che l’invito viene rivolto veramente al popolo, ma anche alla singola famiglia o forse meglio al capo famiglia che certamente era uno sposato. Ad esso come singola persona, ma anche come rappresentante di tutto Israele viene chiesto di amare Dio sopra ogni cosa, cioè di amarlo più di sé stesso

«Se uno viene a me e non odia [odiare il padre e la madre è un’espressione ebraica per dire amare meno] suo padre, sua madre, sua moglie, i suoi figli, i suoi fratelli, le sue sorelle, e persino la sua vita, non può essere mio discepolo» [3].

Sembra quasi che Dio ci chiede una cosa impossibile, e invece quello che lui chiede è per il nostro bene, essendo lui il vero amore, l’amore infinito, l’amore eterno. Siamo noi che dobbiamo saper accogliere con intelligenza la sua verità. L’amore che lui chiede a tutte le persone, di qualsiasi vocazione è l’amore perfetto, cioè la carità, che non va confusa con l’amore naturale della persona umana, cioè quello che si esprime con l’affetto, il sentimento, il senso, l’emozione.

L’amore Carità di natura divina, e concessaci per grazia tramite la nostra anima, raccoglie l’amore umano con tutte le sue espressioni sensitive, e lo rende capace di farsi pervadere dall’amore soprannaturale.

L’amore che esprime il corpo, il cuore carneo quando è moralmente puro, non solo non è in contrasto con l’amore assoluto “Carità”, ma anzi aiuta ad accogliere la Carità, anche se per sua nature essa è di un amore diverso, senza principio, senza fine, e in Dio sempre completo, perché è amore divino, è amore datoci dalla grazia. È un amore che parte da Dio, circola nelle creature, ne assimila la loro offerta e partecipazione, e quindi ritorna a Dio.

Penso si possa indicare l’“Amore Carità” come amore puro, spirituale esistente in pienezza anche senza le espressioni sensibili. Esso infatti esisterà nella nostra persona anche quando vivremo senza il corpo.

L’amore sensibile e istintivo esistente in ogni creatura umana, anche se infedele, ha una sua funzione per servizi u­ma­ni. Un rapporto sessuale effettuato con amore sensitivo e non regolato dalle leggi naturali, sia esso compiuto dentro o fuori del contratto matrimoniale, offre ugualmente il suo godi­mento umano, ma certamente non partecipa dell’amore Carità.

Vi sono anche delle unioni matrimoniali condotte all’in­se­gna dell’eccessiva preoccupazione del proprio benessere terreno, per cui anche se la vita non è vissuta contro le leggi divine di Dio poco ci si preoccupa. In questi casi, che singolarmente non è bene giudicare, si può pensare che genericamente conducono un’esistenza con il cuore in parte separato dall’amore di Dio.

Ci sono invece delle vocazioni matrimoniali nel servizio a Dio, in cui tutta la vita e lo stesso rapporto sessuale, realizzato con retta intenzione e secondo la legge di natura, attiva la grazia, ed essa lo eleva ad amore di Carità.

Così mi pare si possa riconoscere che l’amore Carità, ricevuto ed esistente nell’anima come dono divino, è in grado di offrire pienezza di carità anche all’amore sensibile, affettuoso, che fa parte del corpo umano.

Per meglio comprenderci ci conviene pensare che l’amore Carità è primario (viene da Dio), quello sensibile vissuto con purezza è secondario (è nella natura umana). L’uno e l’altro quando sussistono nella stessa persona fanno tra loro comunione (unità), ma è sempre quello primario che assimila quello secondario.

L’Amore Carità è in grado di comprendere, assimi­la­re, donare grazia, a tutti gli amori umani (coppia, paternità, fratellanza, amicizia, eccetera) vissuti nella purezza morale.

L’aumento di grazia si effettua in noi attraverso l’amore primario già concessoci in precedenza, e che di grazia in grazia ci conduce alla meta finale della gloria. L’Amore Carità si esplica soprattutto usando con intelligenza la volontà, guidata bene nel servizio a Dio e al prossimo. Servire Dio fedelmente anche quando l’amore naturale soggetto alla debolezza delle varie concupiscenze fa fatica a corrispondere ai richiami della grazia divina

La volontà pura (in grazia) deve essere la molla trainante da usare in ogni circostanza per restare fedeli a Dio. Essa però oltre che affidarsi alla grazia è bene che si serva con equilibrio delle virtù naturali. L’uso della volontà va corredato con tutti gli altri valori inseriti nella nostra persona così da realizzare ed esprimere un buono e santo equilibrio umano.

L’amore naturale ci è stato dato per agevolare e svolgere bene i ruoli di servizio e di condivisione umana, mentre l’amore spirituale (Carità) soprannaturale (dono di grazia) costituisce il rapporto di comunione tra le persone, e nello stesso tempo in maniera più piena con il loro creatore. Il dono caratteristico e personale dell’amore “amoroso” dato da Dio agli sposi serve loro per realizzare la loro vocazione a gloria di Dio.

L’amore naturale casto e puro viene usato per un autentico servizio vocazionale all’indispensabile e inso­stituibile obbedienza a Dio.

L’amore sessuato delle creature sta nel tempo della vita terrena, e qui viene usato anche in modo mutabile (i vedovi e le vedove si possono risposare).

Il vero grande amore Carità che accoglie in sé i valori vir­tuosi dell’amore umano e transitorio, è un amore che Dio dona alle creature affinché, secondo la loro natura creata, ma arricchita dal dono soprannaturale, esse realizzino pienamente sé stesse, in funzione della loro santificazione e della loro resurrezione futura.

L’Amore Carità è un amore principalmente diretto a Dio, ma che si realizza tra l’altro in opere concrete come sono quelle di misericordia corporali e spirituali per il bene del prossimo. L’Amore Carità non essendo sensibile è più difficile accoglierlo, perciò è necessario tener desta la nostra attenzione per non lasciar passare la presenza dello Spirito Santo, che normalmente ci sprona e ci guida nel realizzare azioni caritative singole, collettive, o sociali.

Penso che quando Dio ci dice di preferirlo nell’amore su ogni altro amore (sia questo un’amore paterno, materno, sponsale, eccetera), voglia proprio indicarci che l’amore a lui è indispensabile per ottenere la nostra salvezza, e quindi non dobbiamo né posporlo, né uguagliarlo a quello dedicato al prossimo. L’amore da dedicare a lui non deve essere di origine sensitiva, ma frutto del dono dello Spirito; non deve essere parziale ma totale. Da lui non ci viene richiesto di donargli un amore tipico come quello che doniamo alle creature. A lui va donato un amore personale, ma al di sopra di ogni caratteristica particolare: un amore totale, assoluto, saturato dallo Spirito.

Ogni creatura è chiamata a dare a Dio l’amore Carità che non viene per nulla diminuito dall’amore umano puro e disinteressato che ci si scambia con qualunque prossimo. Tutte le creature umane su questa terra amano il prossimo a seconda dei rapporti che intercorrono tra loro.

Un figlio ama i propri genitori anche quando risponde a una chiamata di vita celibataria consacrata a Dio. L’amore che porta ai genitori, non essendo per nulla in contrasto con l’amore a Dio, non lo rende con cuore diviso. Così l’amore di due sposi che amano Dio sopra ogni cosa, esperimentano nelle loro persone che si amano la effettiva appartenenza a Dio, sapendo che questo è un diritto di Dio, un loro dovere, una loro libera risposta vocazionale. Questa realtà può essere meglio espressa se convalidata con una risposta vocazionale arricchita dai voti, segni concreti di voluta consacrazione a Dio amato sopra ogni realtà.

Da quanto pensato sin’ora deduco che Dio Trino va amato in modo totale, assoluto, cioè soprattutto: perché ogni persona appartiene a lui, che l’ha fatta a sua immagine e somiglianza. La Redenzione opera di Gesù Cristo è offerta a tutti singolarmente. Lo Spirito Santo aleggia in ogni creatura divinizzata dalla sua grazia.

 

In questa luce penso di accogliere il grande dono che Dio ha fatto  a noi, e perciò alla sua Chiesa.

Con la fedeltà alla nostra costituzione, tutto il valore che si trova nella consa­crazione dei consacrati laici celibi, e approvata dalla Chiesa con il recente codice di diritto canonico, viene accolto e vissuto dal Piccolo Gruppo di Cristo per viverlo nella realtà comune del popolo di Dio. La nostra vuole essere una consacrazione totale, anche se attuata senza carismi particolari. Una vita realizzata con azioni talmente comuni da includere anche il matrimonio (per chi ne abbia la vocazione) nella realtà consacratoria.

La nostra consacrazione è vissuta con l’intensità di un lievito efficace, che amando Dio in modo primario e assoluto, susciti nel prossimo un rinvigorimento della fede e l’impegno della personale santificazione.

Con fede, fiducia, e carità ci si impegna a donare a Dio noi stessi con tutte le nostre forze regolate dalla virtù di carità. Desideriamo che la nostra vita sia tutta pervasa dal suo e dal nostro amore (vita unitiva).

Cerchiamo i modi perché la nostra vita sia tutta permeata da lui, cosicché egli ci possa usare come vuole. In questo cammino che potrà anche essere difficile non dobbiamo temere la nostra debolezza perché noi ci affidiamo a lui.

Forse egli, pur nelle nostre povere azioni quotidiane, ci chiama a cose grandi, perché lui può tutto. Se noi siamo suo progetto lasciamo che faccia di noi ciò che vuole. Anche se non riusciamo a capire pienamente le delicatezze dei suoi doni, anche se non ci sentiamo all’altezza delle grazie che mette nelle nostre mani, restiamo fedeli nell’offrire una risposta piena di buona volontà.

Carissime sorelle e cari fratelli, noi siamo coscienti di essere poca cosa, di essere fragili; ma se lui ci accetta così per trasformarci in suoi amici, a noi non resta che vivere nella gioia di questa meraviglia, e abbandonarci al suo amore per ridonarglielo con noi inclusi.


[1] Dt 6,4-9.

[2] 1Gv 2,2.

[3] Lc 14,26.