Le Beatitudini e la luce della Città sul monte (1993)

«Chi salirà sul Monte del Signore? Chi abiterà nella sua Città Santa? Chi ha mani innocenti e cuore puro…» (Salmo 23,3‑4).

Introduzione

In questa meditazione dobbiamo riprendere qualcosa che abbiamo già meditato ma che non abbiamo poi messo in pratica. Questo non vale per tutti, ma se anche uno solo fra noi non mette in pratica queste cose, siccome siamo tutti in comunione, la comunità non va avanti.

Oggi i cristiani sono perlopiù cristiani a parole e per i riti, ma non nella sostanza.  Anche il papa, davanti alle folle, ha detto che le manifestazioni pubbliche non bastano: occorre infatti vivere il vangelo nella vita di tutti i giorni.

Questo vale a maggior ragione per noi. Non basta infatti essere consacrati a parole. Capita infatti che si parli spesso del Signore, ma poi si continua perlopiù con la stessa vita di prima.

Non siamo consacrati se riempiamo la schedina o chiediamo i permessi: questi sono fatti giuridici che ci devono richiamare alle virtù.

Per questo, probabilmente, non ci sono abbastanza vocazioni, perché forse hanno poco da imparare da noi.

Perciò, è ora di finirla di credere di essere consacrati senza esserlo; è ora di finirla di chiedere le grazie per poi non usarle!

Non serve pregare, non serve pregare, non serve pregare, se poi non si vuole fare la volontà di Dio e diventare santi. Non servono gli incontri e tutte le esortazioni alla santità, se poi, alla fine, si ritorna persone qualunque.

La spiritualità della luce diffusa (che illumina la Città sul Monte) è già presente nella Chiesa e va solo riscoperta. Però, prima di dire ai discepoli: «Voi siete la luce del mondo: non può rimanere na­scosta una Città collocata sopra un Monte», il Signore ha pronunciato le beatitudini. Perciò, per po­ter contemplare la luce diffusa, dobbiamo prima aver improntato la nostra vita secondo le beati­tu­di­ni. Dunque dobbiamo fare qualche correzione, esaminando la nostra coscienza alla luce delle beatitudini.

Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli

Gesù vuol dire: Ragazzi, cercate la povertà (non la miseria).

Se non facciamo così non siamo cristiani. Cristiano vero è colui che diventa Cristo, imitandolo nella sua vita.

Ma io cerco di vivere poveramente? Condivido le mie cose con i poveri? Condivido la vita dei poveri? So di essere povero davanti a Dio?

Il mio cibo, il mio tenore di vita è da povero? Ho gioito di venire trattato da povero, ricevendo le afflizioni e gli insulti rivolti ai poveri?

Beati gli afflitti, perché saranno consolati

Quando arrivano le afflizioni mi ribello, oppure capisco il messaggio che, tramite chi mi affligge, mi viene da Dio?

Avrò avuto fede solo se non mi sarò lasciato turbare da queste afflizioni.

Dio è in cielo, in terra ed in ogni luogo: Dio “conta i capelli sulla mia testa”. Se ci crediamo veramente, non possiamo rimanere turbati dalle afflizioni, ma cercheremo conforto nell’abbandonarci a lui con animo mite.

Beati i miti, perché erediteranno la terra

Essere miti significa non mandare accidenti o dire parolacce.

Invito quelli che dovessero dire parolacce o mandare accidenti a non pregare soltanto, ma a correggersi e a fare penitenza.

Ogni volta che giudico e maledico gli altri, Dio giudica e per così dire maledice me. Per ogni nostro giudizio di condanna verso il prossimo dovremo scontare gravi pene in purgatorio.

Ma noi diciamo: «Quello mi ha detto così e così e dunque io devo ribattergli e rimbeccarlo». No: non rimbecco un bel niente, perché sono cristiano! Devo invece dire: «Signore, aiutami ad essere te».

Altrimenti, come potremo far capire agli altri cosa vuol dire la parola «mite»?

Ma noi diciamo: anche il tale fa così. Gesù però non dice: imita il papa, imita il vescovo, imita il tale o il tal altro, ma dice: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli».

A Pietro, che poco prima aveva benedetto, quando però voleva distoglierlo dal­l’an­dare in croce Gesù ha detto: «Via da me, Satana!». A volte anche noi diventiamo messaggi di Satana. Quando mi viene proposto un atto di carità e non lo metto in pratica, non sono più di Dio, e dunque sono contro Dio, e perciò sono di Satana.

Io non devo giudicare chi mi giudica, perché il suo giudizio ricade già su di lui.

E poi, le croci e i giudizi ingiusti ci aiutano a capire meglio il Vangelo. A un fratello che era stato accusato ingiustamente di aver rubato e che per questo era rimasto molto turbato, ho detto di andare a leggere il Vangelo: «Se sei veramente il Figlio di Dio, scendi dalla Croce». Ecco, adesso lui poteva davvero capire quell’insulto, avendone fatta esperienza.

A volte, poi, capita che si rompa la sintonia con qualcuno con cui eravamo amici, perché magari inavvertitamente abbiamo fatto qualcosa. In tal caso, dice Gesù: «Se il tuo fratello ha qualche cosa contro di te» (anche se a te non pare), «vatti prima a riconciliare con lui»: io devo cedere, io devo fare il primo passo, io devo porgere l’altra guancia. Qualcuno mi chiede di fare un miglio: Ebbene? «Tu fanne due».

Capite allora che il cristiano è un rivoluzionario? Eppure, dopo duemila anni, questo Gesù Cristo quanto si fa vedere in noi? …

Beati gli affamati e gli assetati di giustizia, perché saranno saziati

Il nostro desiderio di fare la volontà di Dio deve essere forte come la fame e la sete: non si possono chiedere le grazie per poi non usarle; e non ha senso pregare, se poi non si vuole fare la volontà di Dio.

E dove non si riesce ad ottenere giustizia con la sola preghiera, si riesce con la penitenza, perché la penitenza è una preghiera fatta con maggiore insistenza. Fra noi ci sono persone (poche, purtroppo) che fanno penitenza: qualcuno porta il cilicio, qualcuna non si tinge i capelli, qualcun altro fa qualche altra cosa. Quindi, possiamo anche noi qualche volta tenere il sassolino nella scarpa o darci un pizzicotto…

Insomma, noi dobbiamo essere giusti e desiderare la giustizia, pur vivendo in un mondo di ingiustizia, a tutti i livelli.

Questo però deve essere fatto con carità e misericordia, altrimenti la nostra diventa una giustizia che condanna.

Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia

Vogliamo essere cristiani? E allora stiamo attenti a come giudichiamo gli altri, perché così saremo giudicati da Dio. Ma noi sappiamo cos’è il giudizio di Dio? Certo, il giudizio di Dio è sommamente giusto e misericordioso. Io perciò ho paura del giudizio degli uomini, ma non del giudizio di Dio. Ma guardate che il giudizio di Dio è fine. Lui sa tutte le grazie che ci ha donato. Dio è nostro amico, fratello e Padre: ma Dio è Dio, e davanti a Dio ci si inginocchia, ci si fa sgabello dei suoi piedi.

Per questo il cristiano non è rancore: è carità, amore, misericordia. E nella misericordia diventiamo simili a Dio.

Ogni volta che riusciamo a usar misericordia, dobbiamo poter dire: «Ti ringrazio, Signore, che mi fai ripercorrere la tua via del Calvario». …

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio

Essere puri di cuore vuol dire avere un cuore paterno e materno come quello di Dio.

Pensate a un genitore che ha due figli, uno che è presidente della repubblica e uno che è in galera. Il puro di cuore amerà egualmente tutti e due, anche se userà prov­vedimenti di carità e bene­vo­lenza diversi per l’uno e per l’altro.

Perciò il puro di cuore è quello che vede e fa vedere Dio ovunque…

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio

Alla luce della fede in Dio e della pace che ci comunica il Risorto, dovremmo sempre mettere pace e operare il bene: e invece quante chiacchiere!

Ma anche quando ci sforziamo di operare il bene, non mancano le difficoltà. Alle volte capita che una persona che abbiamo fedelmente servito ci dice di essere rimasta delusa di noi… Questo ci ricorda che siamo solo servi inutili.

Fai il bene a qualcuno e questi lo considera male: ma tu non devi offenderti e mollare, perché sai che lui ne ha bisogno, e alla fine comprenderà.

La carità non è la «Caritas»: non è portare il pacco o fare la visitina. La vera carità non è invitare il povero a casa mettendolo a disagio, ma è andare a pranzo a casa sua (portando eventual­mente tu la roba), e magari mangiare nei suoi piatti sporchi, per non umiliarlo e per meglio onorarlo.

La carità non è fare l’elemosina e l’amore non è dare i baci: amore e carità è Dio; amore e carità siamo noi quando viviamo da veri figli di Dio. Tutto questo richiede un cammino lungo e dif­fi­cile, che riserva molte incomprensioni e forse anche persecuzioni, ma che si deve accettare di vivere.

Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il Regno dei cieli

Quante volte siamo tentati di mollare tutto perché è troppo difficile o costa troppo!

Le virtù si pagano: «con il sudore della fronte» entrerai nella vita eterna. Ricordiamo che la porta è stretta e che chi vuole seguire il Signore non avrà dove posare il capo. Al contrario, noi non vogliamo rinunciare a nessuna delle nostre comodità; vogliamo cuscini dappertutto: se possibile, cam­mi­ne­remmo perfino sui cuscini. Invece dobbiamo saper rinunciare a qualcosa per Dio e per gli altri.

Ma noi continuiamo a dire che è difficile. Non è vero! A volte si fa più fatica a peccare: il rancore, l’ansia di ribattere, la preoccupazione di dover sempre difendersi e attaccare, sono una fatica ben maggiore dell’esercizio della virtù.

Perlopiù si sbaglia a pensare alle difficoltà, piuttosto che alle grazie e alle vittorie. Dopo tutto, sei nato nel benessere, hai avuto tutto ciò di cui avevi bisogno; mentre potevi nascere altrove ed essere chissà come…

E poi, le difficoltà e le croci che incontriamo ci purificano e ci fanno meritare la vera beatitudine, e non solo dopo questa vita.

Beati voi, quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia: rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli

Questo è vangelo! Come reagiamo a queste parole?

Saprò gestire questi oltraggi, queste persecuzioni, queste menzogne, se avrò avuto fede: perché il Signore verrà da me e mi farà beato.

Così, quando «mentendo diranno ogni sorta di male» contro di me per causa del Vangelo, so che chi mi accusa è un bugiardo, ma non glielo rinfaccio. Anzi, subito nel mio cuore lo perdono e mi preoccupo perché abbia una vita piena di amore.

Voglio difendermi tutto da solo? Ma allora non mi potrà più difendere il Padre che è nei cieli. Se invece io rinuncio a difendermi da solo, sarà il Padre stesso a difendermi.

In questo ritorna la parola di Gesù: «Se uno non odia il padre, la madre, la moglie, i figli… e perfino se stesso, non può essere mio discepolo». E noi diciamo: «Ma come? La moglie, i genitori, i figli… Che esagerazione!» E non capiamo invece che il segreto sta nel «perfino se stesso». Sì, perché se noi rinunciamo ad amare noi stessi e lasciamo gestire a Dio il nostro amore, lui ci amerà da Dio! E noi abbiamo tutto da guadagnarci…

Questa è la fede: rallegrarsi sapendo che grande è la nostra ricompensa nel cielo. Ma noi ce lo ricordiamo di essere fatti per il cielo? Del resto, il Signore non ci ha mai detto di darci il trono in terra…

Il Signore chiede anche a ciascuno di noi: «Mi ami tu più di costoro?»; oppure giudichi come gli altri, ti lamenti come gli altri, pretendi come gli altri?

Queste cose non basta sentirsele ora: bisogna invece farle proprie portandole nel cuore durante la vita di tutti i giorni.

Per questo chiediamo: «venga il tuo Regno», giorno dopo giorno, in un cammino paziente di crescita cristiana. C’è infatti bisogno di realizzare una vita purgativa, illuminativa ed unitiva, perché c’è una vita unitiva anche sulla terra.

Per esperienza, sapete quello che è una carezza della moglie o del marito, o di un genitore, o di un fratello: ma sapete quello che sono le ca­rezze di Dio? Questo significa «Beati… Beati… Beati…». La beatitudine è l’esperienza della presenza di Dio. Questa è la luce della Città sul Monte: e a questa luce la Chiesa va giorno dopo giorno ricostruita.

Conclusione

Queste cose ve le ho dette per amore, perché desidero il vostro e anche il mio bene: infatti, mentre dico queste cose a voi, esamino anche me stesso.

Ma se non viviamo queste cose, che comunità è questa? E la comunità non è solo quando ci si incontra, ma ventiquattr’ore  su ventiquattro. Il dispiacere non è tanto per la comunità che viene danneggiata, ma per la santità che non viene conseguita! E fino a quando continueremo ad essere né caldi né freddi, il Signore ci rigetterà.

Non dobbiamo avere paura: di qui dobbiamo andarcene; dobbiamo andar di là. E non dobbiamo aver paura nemmeno di dire il nostro «mea culpa»: «Signore, aiutami!», e andiamo avanti, cercando sempre di fare più e meglio.