“Se vuoi essere perfetto” (1988)

Spero di poter offrire in questo scritto qualche spunto per una riflessione personale, che faciliti l’assimilazione del dono della consacrazione.

Il giorno in cui ci siamo consacrati a Dio certamente ci siamo donati con tutte le nostre forze, ma ora è necessario osservare se siamo sempre fedeli a quella chiamata e se in quel giorno avevamo compreso completamente il valore del dono di Dio.

Gesù ci fa capire l’importanza del dono tramite il Vangelo. Il brano riferito da Luca riporta la situazione di un giovane ricco che dice: «Maestro che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna? Ma egli gli disse: perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è il Buono. Ma se vuoi entrare nella vita osserva i miei comandamenti. Quali? E Gesù: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso. Il giovane gli disse: Tutto questo l’ho osservato; che cosa mi manca ancora? Gesù gli rispose: Se vuoi essere perfetto va, vendi quello che possiedi e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli, poi vieni e seguimi» [1].

Penso che quando abbiamo deciso di entrare a far parte del gruppo anche noi, abituati a cercar di vivere i comandamenti, sentivamo che mancava qualcosa, non ci bastava seguire la legge dei comandamenti. Lo Spirito Santo interiormente ci chiamava a una vita più intima dicendoci: «Se vuoi essere perfetto…, vieni e seguimi», per vivere con colui che «solo è il Buono».

Dio ci ha offerto il dono di vivere più intimamente con lui. Un dono che richiede di staccarci dal nostro io adamitico per assumere l’io di Gesù‑Buono‑Perfetto.

È questa una chiamata per vivere in un modo più pieno il battesimo. Gesù non ci chiede soltanto di essere dei buoni cristiani, ma di essere completamente suoi. Questo è il punto sui cui fermarsi a meditare. Io voglio essere completamente suo? La mia volontà mi spinge a farmi suo ogni istante? Le mie scelte sono le sue scelte?

«Va’, vendi quello che possiedi», annulla quello che sei e seguimi in modo che tu più amorevolmente possa riconoscere in Dio il Padre Buono.

Gesù che ci ama infinitamente è così preso dal desiderio di volerci con lui da sembrare persino un violento quando dice: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua. Perché chi vuol salvare la propria vita la perderà, chi invece perde la propria vita per causa mia, costui la salverà» [2].

Queste parole danno significato e pienezza a coloro che emettono i voti. I voti ci aiutano a rinnegare noi stessi e ad accogliere meglio la salvezza e la santificazione.

Sin dall’inizio del nostro sorgere e senza conoscere appieno il significato preciso dei voti, noi riconoscemmo utile accogliere tale dono. È vero che allora decidemmo di emettere le promesse, ma queste furono scelte non per diminuire il nostro impegno, ma perché ritenevamo essere quelle più consone al nostro impegno nel mondo. Potevamo costituire una semplice comunità spirituale senza impegni precisi e invece il Signore ci chiamò per questa strada. Lui aveva dei progetti precisi che noi non conoscevamo, ma che con la sua grazia abbiamo accolto.

I voti, bene e meglio, esprimono una volontà di forte impegno nel rinnegamento di sé stessi. I voti sono i mezzi e anche i frutti che esprimono la nostra appartenenza a Dio che ci ama e che vogliamo amare. Essi ci legano spiritualmente e concretamente a Dio. Ci doniamo a lui totalmente e nello stesso tempo e con lo stesso abbandono ci sottoponiamo al responsabile.

Come la Sacra Scrittura è la verità di Dio affidata all’uomo perché con i suoi carismi la renda comprensibile nei secoli, così (con le dovute distinzioni) la volontà di Dio su noi viene affidata al responsabile.

Certamente questo abbandono richiede tutto il nostro impegno di seguire Gesù con retta ed educata coscienza, secondo l’invito interiore dello Spirito Santo. I sentimenti che ci portano a seguire la Costituzione dipendono dal desiderio di amare profondamente Gesù, servirlo senza nessun calcolo e interesse umano, per restargli accanto secondo la logica del suo amore.

Poveri per liberarsi dall’attrattiva e dall’attaccamento possessivo alle cose. Poveri veri, con reali situazioni di povertà. Scelte che seguono le tracce del Maestro crocifisso, del fratello primogenito che per noi si è fatto povero.

Il voto di povertà non esprime il valore di una povertà sociale, ma accoglie la povertà evangelica che si nutre di interiorità e si veste di umiltà.

La povertà che indica il Gruppo è per tutti interiormente uguale, ma riconosce che l’applicazione deve tener conto della situazione reale di ogni singola persona.

Un serio pericolo che può mettere in difficoltà questo metodo sta nella debolezza umana e nella tentazione del maligno che cerca di oscurare la luce della virtù favorendo scelte meno evangeliche. La povertà completa non si riduce alle realtà materiali ma penetra anche in quelle spirituali: si riesce a vivere bene nella povertà se ci nutriamo di Cristo, se ci vestiamo con il gusto spirituale di Cristo, se abitiamo nella casa di Cristo, cioè se ogni giorno ci abitueremo a conoscere più profondamente il mistero di Cristo.

Il metodo migliore per essere poveri è quello di mettersi nei panni di Gesù e fare quello che ha fatto (o farebbe) lui, cioè non tendere al possesso ma alla spoliazione. In questo caso al responsabile non resterebbe altro che gioire della nostra crescita nella santità.

Questa breve riflessione sulla povertà può essere usata anche per meditare sulle virtù di castità e di obbedienza.

Con queste virtù, che dovrebbero progredire di giorno in giorno nella pace di un cuore sereno, dovremmo inserirci nella vita unitiva e diventare padroni delle difficoltà per gestirle da maestri con il Maestro. Vivere bene la consacrazione diventa difficile se non si prende sul serio il centro della sua essenza che è l’amore. Dio ci ama sempre per primo, ma il nostro amore per lui ha la forza di conquistarlo e di sollecitarlo a trasformarci in lui.

I santi sono i testimoni di questa realtà che li ha resi un riflesso autentico della carità di Dio. Può darsi che qualche volta a causa della nostra inesperienza si possa aver paura dei piani di Dio e si tenti di eluderli o di attenuarli. Questo comportamento sarebbe un grande errore da evitare perché Dio è sempre bontà, misericordia, amore: egli vuole sempre solamente il nostro bene totale proteso al bene ultimo, definitivo e completo.

La paura di Dio per lo più nasce quando si trascura la preghiera, e progredisce quando si rigetta e si contesta il suo dono.

Gli adulti, i grandi, pretendono discutere con Dio e hanno il coraggio di disubbidirgli, mentre i semplici e gli umili sono il gregge del suo pascolo.

Mentre Gesù rimprovera fortemente coloro che si ritengono sapienti e autosufficienti elogia i piccoli: «Lasciate che i bambini vengano a me, e non glielo impedite; perché il Regno di Dio è di quelli che sono come loro. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso» [3]. Vedo la consacrazione come un atto tangibile che sa trasformarci in “piccoli” che accolgono il regno di verità e di vita, e regno d’amore e di gloria eterna.

È necessario fare propria la semplicità dei bambini per gestire nel modo migliore i voti. Come il piccolo non dà importanza a ciò che lo circonda, perché gli basta la presenza della mamma, così noi dovremmo avere un simile atteggiamento con Dio per riuscire a cogliere il valore della nostra vocazione e ad esprimere con i voti i contenuti del nostro amore.

Una seria visione della chiamata alla santità mi pare si possa definire così: la consacrazione è un dono che si esprime attraverso i voti che maggiormente ci aiutano a rinnegare noi stessi per ricostruirci in Cristo con un animo abbandonato e fiducioso come quello di un bambino.

Signore, io sono debole e non posso fidarmi di me: perciò affido la mia sicurezza alle tue mani; prendimi come sono e fammi come tu mi vuoi.


[1] Mt 19, 16-24.

[2] Lc 9,23-24.

[3] Lc 18,16-17.