Il fidanzamento (1994)

Cosa si intende per fidanzamento, innamoramento e amore (di coppia)

Noi sappiamo che le parole cambiano nella storia e se noi leggiamo l’italiano di Dante Alighieri non è più il nostro, e neanche il linguaggio mistico di Teresa d’Avila o di santa Teresina non è più il nostro. Questo vale anche per il nostro tema.

Oggi raramente si sente parlare di fidanzamento: i giovani usano dire piuttosto: “Ci siamo messi insieme”, “stiamo insieme”.

Eppure le parole anche oggi cambiano di significato. Ad esempio, quando io ero giovane si usava dire “i vitelloni”, più avanti nei tempi si usava dire “il bullo”, che era chi si riteneva qualcuno, oppure c’era l’altro che si poteva dire “il ganassa”… Insomma tutte quelle parole che passano sono tutte parole che mutano.

Così è per il tema del fidanzamento. Le diverse parole con cui lo indichiamo derivano da concezioni diverse. Dire “ci siamo messi insieme” è un modo che esprime una concezione più atea che cristiana: perché in fondo esprime la libertà come è intesa oggi e quindi il fare tutto quello che si vuole. Invece di per sé “fidanzamento” vorrebbe dire un “fidarsi”, un conoscersi, un mettersi in condizioni di fidarsi l’uno dell’altro. Vedete come cambiano le mode!

Ognuno ha il proprio linguaggio appropriato e bisogna tenerne conto. Così anche c’è una grossa differenza fra innamoramento e amore: non sono la stessa cosa.

Ad esempio, uno può innamorarsi senza volerlo. L’innamoramento scatta per ognuno in un modo diverso. Può avvenire con una ragazza o un ragazzo con cui siamo sempre stati insieme: ad un dato momento i miei occhi la vedono in un modo diverso; addirittura prima mi era antipatica, non mi piaceva e poi ad un dato momento scatta qualche cosa. Oppure capita con una persona estranea, che magari vediamo per strada e ci manda, per così dire, un flash: mi colpisce la sua pettinatura…, o non si sa cosa, però càpita e si rimane innamorati.

Quindi di per sé l’innamoramento può avvenire senza essere cercato: non può essere così per l’amore.

Certo, anche l’innamoramento può essere costruito con l’amicizia, perché con gli amici si sta bene; si sta così bene che ad un certo momento scatta l’innamoramento.

Però nell’innamoramento io posso essere innamorato e l’altra no: e quanta sofferenza c’è in questo caso, proprio perché c’è dentro questa realtà che mi avvolge e mi attrae, ma non trova corrispondenza. Questo appunto non è amore, è innamoramento.

L’amore esiste soltanto quando due si mettono in armonia per conoscere e per costruire, perché l’innamoramento è anche un fatto sensitivo, sensuale, mentre l’amore prende totalmente la persona, è una costruzione, è un compartecipare, un condividere.

Quando l’uno e l’altro desiderano far sì che l’innamoramento che può essere avvenuto in un momento o in un altro, si stabilizzi in forme bene personalizzate, per costruire l’amore. Quindi l’amore che nasce benissimo dall’innamoramento il quale può essere stato immediato, ma può anche essere nato per via amichevole, magari con una frequenza, insieme ci si mette d’accordo per tentare di costruire il nostro futuro, quindi da quel momento anche se non lo diciamo noi ci impegnamo a vedere se siamo capaci di fare dei nostri due innamoramenti, delle nostre due tensioni di fare un amore, costruire un amore, diventare amore.

Allora, se ripensate alle difficoltà e alle sofferenze che ci sono nell’innamora­mento, e alle gioie che ci sono quando c’è corrispondenza e collaborazione, capite che quando scatta la molla dell’uno per l’altra è bellissimo.

L’innamoramento è una cosa astratta: anche se il mio cuore batte, non ha concluso niente, non ha unificato niente. Invece l’amore è una realtà concreta. Ecco, vediamo ora nel piano di Dio che cos’è l’amore e cosa muove l’amore.

Cosa è l’amore

Si dice che “Dio è Amore”, e che in particolare lo Spirito Santo è amore. Dio è concreto, anche se è spirito. L’amore che è Dio Trinità noi lo chiamiamo “Carità”, che viene effusa nei nostri cuori e di cui diveniamo partecipi con la nostra carità.

Per questo san Paolo dice: potete far tutte le opere buone che volete, ma “se non c’è la carità” sarete come “cembali sonanti”. Allora amore, carità e gloria in un certo senso sono la stessa cosa. Vedete che inserendo qui la parola “gloria” noi richiamiamo l’anima e la vita, tutta la vita, la vita eterna.

E tutto è insieme: quindi l’amore umano, anche quello di coppia, quando è ben costruito, quando rappresenta il desiderio di fare qualche cosa di buono con la grazia di Dio, è il riflesso dell’amore di Dio.

L’amore di Dio è generoso, è altruista, pensa al bene dell’altro: se noi pensiamo a Gesù Cristo, vediamo che si è incarnato per il bene dell’umanità.

Quindi nell’amore, e dal nostro punto di vista, nell’amore di coppia siamo chiamati ad esprimere l’uno per l’altra l’amore di Dio.

L’amore nel nostro corpo è anche un atto sensitivo, sensuale e sessuale, perché ingloba totalmente la persona. Però quando amo non do i miei organi genitali e non offro neppure soltanto il mio corpo, ma se amo offro me stesso e se il mio amore è profondo non è e non può essere un amore egoista che ricerca il piacere, semmai desidera comunicarlo. Così l’intenzione non è di usurpare i valori e le fatiche dell’altro, ma di comunicare all’altro e offrire all’altro il sudore della propria fronte.

L’amore umano (e questa è un’immagine che a me piace molto) è esattamente il riflesso dell’amore spirituale, cioè della gloria. Questo è un fatto spirituale (e mi scuso con la Chiesa se l’interpretazione fosse sbagliata): io ho l’impressione che l’orgasmo dell’unione tra marito e moglie rispecchi benissimo l’unione mistica e spirituale; è l’espressione corporea della contemplazione mistica. Infatti lo scultore o il pittore nelle loro opere d’arte (anche qui a Roma il Bernini nella statua dell’estasi di Santa Teresa) per esprimere l’atto mistico usano l’espressione che la persona e il corpo umano hanno nell’istante dell’orgasmo sessuale: non hanno altro modo di esprimersi.

Mi pare sia giusto che in un contesto così grande il Signore voglia esprimere in un modo sensitivo il segno della gloria che abbiamo davanti a noi. Per cui noi non possiamo dire, quando c’è stata l’unione sessuale degli sposi nel sacramento del matrimonio, “ho fatto l’amore”. No, l’amore non è questo: l’amore non “si fa”. Devo dire semmai: ho espresso nel modo umano e cristiano l’amore.

Infatti in quel gesto tra marito e moglie esprimo tutto l’amore che ho dentro di me. Ma “lo esprimo”, non: “lo godo” o “lo sfrutto”; è diverso.

I gesti dicono sempre qualcosa, e i gesti dell’unione sessuale sono il gesto d’amore che si esprime tra marito e moglie. È un gesto che esprime l’amore, ma non è l’amore. Tanto è vero che il frutto che ne nasce è espressione del nostro amore di marito e moglie aperto a Dio, il quale è sempre presente e, quando vuole, chiama alla vita una nuova creatura.

Nel momento dell’unione sessuale marito e moglie collaborano con Dio. Quindi quell’unione avviene in tre, non in due. Perciò l’unione sessuale vissuta nel progetto di Dio è una cosa molto bella, voluta da Dio. Quando poi si concepisce un figlio, in quel momento è il Padre a darle l’anima. L’anima non è data dal papà o dalla mamma, l’anima è data da Dio.

Siamo due persone, maschio e femmina, e ci uniamo: lui si unisce da maschio e lei si unisce da femmina e guardate bene che anche quando si resta soli lui rimane maschio e lei rimane femmina e l’unione è diversa e non solo è diversa tra ogni singola persona, ma diversa nella sua sessualità: la donna ha l’ovulazione una volta al mese, l’uomo è sempre pronto a dare il seme.

Pensate come è diversificata l’unione sessuale: ed è voluta così da Dio! Quindi è diverso il donarsi e mettersi insieme: rimango sempre una persona eppure in questo contesto lui e lei, singola persona e singola persona, non nati insieme, devono imparare a fare “persona coppia”. Rimane “persona” singola ma devono essere anche “persona coppia”: singole persone ma che possono e devono andare d’accordo, sacrificarsi insieme perché i figli vedano nel papà e nella mamma l’amore.

Questa è una cosa molto seria che viene raramente spiegata: è l’espressione della Santissima Trinità. Lui, lei con il Padre Dio aperti a generare i figli nel Figlio e con la grazia dello Spirito.

Come costruire l’amore coniugale

Allora vi ho appena accennato che cos’è l’amore. Adesso vediamo come si costruisce questo amore.

Lo dico subito, l’amore si costruisce tutti i giorni, come si respira tutti i giorni, si mangia tutti i giorni e tutti i giorni si dovrebbe dormire…

Il fallimento del matrimonio avviene quando si dà per scontato che una volta detto “Ti voglio bene” basti. Bisogna avere l’accortezza di costruire continuamente: allora ci vuole un grande rispetto, una grande comprensione.

Devo da subito rendermi conto che io ho sposato una figlia o un figlio di Dio, il quale o la quale sono amati da Dio in un modo divino e che viene affidata a me perché insieme abbiamo a corrisponderci l’amore di Dio.

Allora se noi collaboriamo per esprimere questa realtà, non può esserci egoismo, ma continuamente comprensione, misericordia, stima, rispetto, sostegno [1]. Quando vengono a mancare le virtù evangeliche è evidente che poi il matrimonio crolla, ma per noi non deve essere così, perché abbiamo voluto coscientemente, per vocazione, rispondere a Dio secondo la chiamata che ha voluto realizzare in noi.

Allora, prima di sposarci pensiamoci bene, sapendo che al mondo non esistono né uomo né donna perfetti, perché se credete che esistano, sbagliate. Santi sì, ma perfetti non esistono, quindi noi dobbiamo guardare quando costruiamo la nostra famiglia se siamo capaci di accogliere, di avere misericordia, perdono e comprensione per i difetti che ha il mio partner, e per i limiti che ha il mio partner e per quelli che ho io. È lì che si gioca un amore che sia concreto e continuamente costruisca insieme la santità.

Non illudiamoci (e qui ammetto la buona fede di tutti, ma parlo a gente concreta): stiamo attenti a non accontentarci di conoscere l’altra persona così, un po’ superficialmente, o a pensare che cambi dopo. No, nei tratti di fondo non si cambia.

Ricordo un fatto che mi raccontava la mia mamma. Prima del matrimonio, la sorella del mio papà la metteva in guardia: “O Ada, ricordati che il Carlo è proprio disordinato, tanto disordinato!”; e mia mamma le rispondeva: “Eh, lo so, tutti gli uomini sono disordinati”. Dopo però ha dovuto riconoscere: “Non credevo che fosse così disordinato!” [2].

Capite? Se uno è irascibile non potete cambiarlo in un mite, ma dovete vedere se voi avete la capacità di sopportare la sua irascibilità…

Uno può avere dei “moti primi”, incontrollabili, e tutti ne hanno, anche i santi. I moti primi non sono in sé peccati (se non provengono dalla nostra negligenza), proprio perché escono incontrollati: però quando esce, ad esempio, una parolaccia, quello a cui era destinata non gli importa se era un moto primo o secondo: lui la parolaccia l’ha presa [3].

Quindi bisogna stare attenti e valutare prima di sposarsi; dopo, ci vuole comprensione [4].

Così pure, quando si è giovani fidanzati, ci si trova assieme solo per alcune ore al giorno e ci si va a divertire e tutto è bello nello stare insieme; ma bisogna pure prevedere quando, da sposati, si arriverà a casa stanchi la sera, magari dopo che il direttore “ce ne ha dette”, e capire che stare insieme comporterà anche sacrifici.

Faccio un esempio che vale in generale per la vita familiare. Io lavoravo all’orto­mercato: sempre baccano, sempre parlare e io ogni giorno non vedevo l’ora di tornare a casa e stare un po’ tranquillo. La mia mamma invece era stata tutto il giorno sola e non vedeva l’ora che io tornassi a casa per poter parlare. Le prime volte io reagivo male, ma poi ho capito che dovevo essere ragionevole.

Insomma, non ci si sposa per comodità. Quando avrete due o tre bambini piccoli il vostro mattutino e le vostre lodi consisteranno nel pregare tenendo in braccio il bambino che piange, e mentre il monaco si alza di notte per pregare secondo una regola che ha scelto lui stesso di vivere, voi dovrete alzarvi due o tre volte per notte per una necessità di servizio.

Fin da giovani bisogna rendersi conto che il matrimonio è una cosa importante e seria: non ci si sposa per starsene tranquilli. Certo, tutti cerchiamo di essere felici, e anche i celibi cercano la felicità, però sapendo che il mondo è mondo e rimane con la sua croce.

Come vivere il fidanzamento

Adesso vorrei passare al fidanzamento. Noi come affrontiamo, o meglio voi (anche se anch’io sono stato fidanzato due o tre volte) come affrontate il fidanzamento? Diciamo la verità: guardiamo quello che fanno gli altri e già da piccolini, per strada si vede che ci si bacia, che ci si fa le carezze, le coccole e noi facciamo così, perché sembra che così si debba fare, tutti fanno così.

Non parlo degli errori e dei peccati che ci sono in giro negli ambienti senza fede e senza morale; però, anche noi cristiani spontaneamente usiamo lo stesso metodo degli altri. Ma io mi domando: è giusto o non è giusto?

Mentre la Chiesa parla molto del matrimonio, i sacerdoti parlano troppo poco e aiutano troppo poco i cristiani a comportarsi in un modo rivoluzionario, per poter presentare agli altri che cosa è che un ragazzo o una ragazza vogliono costruire nel fidanzamento, nell’essere insieme.

Papa Giovanni XXIII, e questo me lo ha raccontato il suo segretario, Monsignor Capovilla, una volta ha visto tra le fessure delle persiane della sua finestra giù in piazza San Pietro, che era già notte, due fidanzatini e li ha benedetti. È una cosa stupenda! Ed è vero. Anch’io quando vedo delle donne incinte, con un bambino in grembo, prego.

Il nostro conoscerci nel fidanzamento dovrebbe perciò essere più attento ad esprimere nel comportamento la realtà dell’amore nella sua bellezza e non in una volgarità che rispecchia invece una mentalità “atea”.

Provate un pochino a pensare quante volte noi, e anch’io, siamo caduti in questi errori senza pensare che fossero errori. A volte non sono neanche errori, ma sono comunque una “non testimonianza”. Io andavo per la strada e mi baciavo con la mia ragazza, però facevo come facevano gli altri,

Provate a pensare: non è bello e non ci sentiamo forse amati se noi ci guardiamo, se stiamo lì anche senza dirci niente? Che cosa diceva il curato d’Ars a proposito di quello che pregava davanti al Santissimo? “Lui guarda me e io guardo lui”. E voi non ve ne accorgete che se due sono innamorati e si guardano, lo fanno in un modo diverso di quello fra degli amici? Quindi già il guardarsi permette di comunicare, perché noi comunichiamo in mille modi. O anche, pensate a due innamorati che stanno mano nella mano, o anche che si accarezzano, si abbracciano e si baciano con delicatezza, non per soddisfare il proprio egoismo, ma per esprimersi l’affetto e accrescere il loro amore.

Pensate a quanta delicatezza e a quanta espressione corre in questi innamorati che si tengono vicini e così pure pregano insieme, parlano di cose serie insieme e poi hanno l’accortezza di sapersi così deboli che per voler essere casti si debbono tenere alcune prudenze. Se si trascurano i preliminari, si finisce per cadere nel peccato.

Anche giovani che andavano in chiesa, impegnati in parrocchia, pur avendo fatto tanti buoni propositi, poi non sono riusciti a mantenersi casti: è un attimo, però bisogna stare attenti a prevenire. Comunque non ci si deve scoraggiare mai e si deve sempre cercare di restare casti.

Quindi il fidanzamento deve preparare tutto quell’amore vero necessario a costruire una famiglia seria, autentica, che vada avanti per sempre, anche quando lui o lei sono ammalati e ci sono incomprensioni e si deve mandare avanti la famiglia con il sudore della fronte. Bisogna già nel fidanzamento imparare a conoscerci, a volerci conoscere sempre meglio a comunicarci, ma sapendo che fino a quando non c’è il sacramento del matrimonio noi non ci apparteniamo [5].

Gli altri (che non hanno questo dono di fede) forse sì, possono ritenere di appartenersi reciprocamente con la loro sola decisione, ma se noi vogliamo testimoniare il cristianesimo, noi non apparteniamo a noi stessi, ma a Dio.

Allora devo stare attento: non devo escludere la dolcezza, ma alcune volgarità che prima di tutto offendono me stesso, mettendo in pericolo la mia castità anche solo nel pensiero, ma che possono anche offendere l’altra persona e, se un giorno ci dovessimo lasciare, sarebbe come dare a un altro un fiore un po’ appassito, e questo non è bello.

Parlo di un valore non tanto umano, ma proprio cristiano. Dentro di noi sentiamo di dover preparare qualcosa di grande: quindi amo intensamente, ma rispettando la persona e i tempi, perché conosco la mia fragilità, conosco i miei pensieri, le mie fantasie e perché proprio perché essendo questa una figlia di Dio o un figlio di Dio lasciamo che Dio cali la sua grazia su di noi.

Verrebbe il dubbio che queste siano cose che si dicono, ma che non si possano mettere in pratica. Certo, se non se ne ha l’esperienza, se non se ne riceve la testimonianza, sembrano impossibili: ma se c’è la grazia di Dio, se la si invoca, tutto è possibile. Pensate a questo innamoramento che si trasforma in amore che con la sua purezza e castità rispecchia l’amore divino del cuore di Dio.

Perché? Perché scelgo io di volerti rispettare, scelgo io di preservarti: è una scelta che faccio per glorificare Dio e per rispettare te, e ti dimostro con centomila altri gesti che ti amo molto di più e sono capace di dirti: “sapessi quanto desidererei…, e invece no!”. Ti rispetto, perché io non ti amo con gli organi genitali, ma con un cuore da cristiano, e uso poi il mio corpo, che appartiene totalmente a Dio, nel momento opportuno, con la grazia opportuna, con il rispetto.

Ciò che manca a noi cristiani è questo: nella catechesi si affronta abbastanza bene il tema del matrimonio, ma meno bene quella della preparazione ad esso. Questo è un grosso guaio, perché senza preparazione, non si potrà realizzare quello che si propone.

Non basta ripetere: “Non commettere atti impuri”. Occorre anche indicare la via per sentire e avere con il partner una comunicazione intima ma rispettosa, stupenda; occorre insegnare a percepire e recepire un amore ricco di valori da meditare e attuare; e ad esprimerlo così: “Voglio essere generoso e puro con te!”.

Pensate alle madri e ai padri, ma in modo particolare alle madri: quanti sacrifici per i figli! Noi vediamo gli esempi della storia: allora parliamone, perché è così bello.

Sapeste poi quante croci ci sono: persone che cominciano ad avere una certa età e sentono la vocazione al matrimonio, ma non trovano la persona. Attenti che non è la bellezza che fa sposare, non è l’intelligenza; a volte ci sono delle combinazioni imprevedibili.

Perciò, specialmente quando si sta in un gruppo, in parrocchia o in comunità, è bene che i fidanzati non stiano troppo attaccati [6]. Ecco la carità: avere la delicatezza di non mettere in difficoltà le altre persone. Se siamo fidanzati, cerchiamo di essere generosi verso le persone che non riescono a incontrare l’altra metà: in gruppo possiamo esprimere il nostro amore anche senza effusioni.

Come prepararsi alla vocazione matrimoniale

A me pare importante che il “fidanzamento”, l’“essersi messi insieme”, diventi una cosa evangelica: dovrebbe scaturirne un nuovo modo di vivere questa esperienza come un tempo di preparazione vocazionale: voglio io che sia così, ne prendo io atto, voglio esserne cosciente.

Se vi è possibile, provate ad iniziare da qui, da ora, un nuovo modo di vivere il fidanzamento: sarebbe una grande cosa, un momento importante della Chiesa.

Con tutta la nostra coscienza e volontà dobbiamo dire a Dio: “Signore, aiutaci tu a essere giovani fidanzati che nella Chiesa vogliono essere tempio del tuo amore!”; “Signore, aiutami ad amare con quella grande generosità per cui amo e rispetto gli altri, ma amo teneramente lei o lui, proprio teneramente, profondamente, senza egoismo”. E con la vita dobbiamo dire a lei, o lui: “Io voglio amarti, perché sei figlia di Dio (sei figlio di Dio) e insieme ci santifichiamo, insieme”. Ma attenzione, devo impegnarmi io, e non pretendere dall’altro senza impegnarmi: questo non sarebbe amore.

Evviva gli sposi: l’amore di coppia è bellissimo, basta affrontarlo sapendo che si fa la volontà di Dio.

Aggiunta: come discernere la vocazione al celibato [7]

Ho l’impressione, confermata da una lunga esperienza, che perlopiù i giovani non si pongano il problema della scelta celibataria, in quanto tutto in loro propende per il matrimonio. Ascoltano la loro natura (che li conduce al matrimonio) senza chiedersi se il Signore voglia altro da loro. In questo modo non sono aperti alle altre vocazioni.

Per essere certi di ascoltare il Signore è necessario mettersi in uno stato di disponibilità e di ascolto alla grazia divina, preparando un clima di dialogo con Dio. Se si resta avvinti soltanto dai sensi, in particolare quelli che influenzano l’affettività, e non ci si domanda che cosa voglia da noi il Signore, si ostacola la scelta di Dio su di noi.

Prima di ogni decisione non si deve tralasciare di chiedere a Dio: “Perché mi hai creato? Che cosa vuoi da me? Cosa preferisci che io faccia di me?”.

Queste domande non ci vengono spontanee, ma nascono soltanto da una vita di preghiera, di confidenza con il Signore.

Non è giusto affermare che, dato che mi sento attratto dalla vita matrimoniale, io debba sposarmi: questa è infatti un’attrattiva naturale, comune a tutte le persone; noi, però, non siamo fatti soltanto di sentimenti naturali. In noi vi è anche l’anima, che, essendo libera dai sensi, è più disponibile ad ascoltare il parlare di Dio, purissimo spirito. Tenendo presente tutto questo, la creatura umana deve prepararsi ad ascoltare e accogliere la volontà di Dio. È necessario aumentare il tempo per la preghiera e l’ascolto, per riuscire a chiedere con maggior generosità e abbandono che il Signore si manifesti e parli. Se la persona è disponibile a fare la volontà di Dio, lui sarà libero di donarci la vocazione che preferisce per noi, sia quella del matrimonio, sia quella del celibato.

Per sentire la chiamata di Dio è necessario chiedergli sinceramente che cosa vuole da noi. Mancando questa disponibilità si impedisce il suo colloquio, si intralciano i suoi progetti. Non mancano le chiamate al celibato, manca semmai il desiderio di conoscere la volontà di Dio e di rispondervi attraverso l’offerta della nostra vita.

Anche per chi si scopre chiamato alla vita celibataria, non è facile aderirvi, perché richiede una grossa rinuncia ai progetti naturali che già abbiamo nel cuore. Posso dare una risposta affermativa alla chiamata del Signore soltanto se sono disposto a riconoscere che è lui che mi desidera “tutto e solo” per lui. Il Signore mi domanda: “Vuoi donarti a me nel celibato per il Regno per essere un vergine con me?”.

Ciò che ci attira a rispondere di sì, a mio avviso, è il fatto che sia lui a desiderarlo e a volerlo: scoprendo che Dio è Amore ci rendiamo conto che questa chiamata è per il nostro bene. È una offerta che costa, ma garantisce il nostro stare bene con lui. Offro la mia verginità, la mia castità celibataria a Dio perché mi ama immensamente. È un sacrificio che voglio donargli (“amore con amor si paga”). Nasce così una sincera, leale, serena risposta, che ci rende capaci di amare in modo totale e quindi disponibili ad accettare.

I giovani non vanno lasciati soli, ma vanno aiutati a chiedersi come impostare le scelte di vita. Non basta interrogarli, né bisogna far loro proposte fuori luogo o premature. È necessario aiutarli a fare esperienza di apertura, disponibilità, ascolto e colloquio con il Signore. Il giovane così si prepara ad essere come un terreno fertile in cui Dio mette il seme della vocazione. Il dono della vocazione è di Dio, ma riesce ad apparire e a svilupparsi solo se il cuore umano lo ha raccolto e lo ha fatto proprio.

 

 

 


[1] Pur non affrontandolo qui esplicitamente, nella purificazione del rapporto coniugale dall’egoismo Ireos presuppone l’impegno alla castità coniugale, attraverso l’uso dei metodi naturali per la regolazione delle nascite, ossia la pratica dell’astinenza periodica dai rapporti coniugali.

[2] Ireos aggiungeva a voce il consiglio di andare qualche volta a trovare la fidanzata o il fidanzato senza preavviso nel suo contesto, per vedere come si comporta normalmente.

[3] Ireos aggiungeva a voce il consiglio di correggere per primi i difetti che più danno fastidio agli altri.

[4] Non si prendono in considerazione i casi eccezionali del matrimonio che si scopre viziato dall’inizio e quindi viene annullato dalla competente autorità della Chiesa,  o del matrimonio pur valido in cui però la convivenza diventi impossibile o dannosa per la famiglia: in tal caso la dottrina della Chiesa permette la separazione dei coniugi con l’impegno però di mantenere l’impegno della fedeltà coniugale.

[5] Ireos altrove raccomandava ai fidanzati di prepararsi per tempo a conoscere i metodi naturali per la regolazione delle nascite, che sono un gran mezzo per vivere nel matrimonio il rapporto coniugale senza egoismi.

[6] Qui si aggiunge un’altra raccomandazione di Ireos: che i due non passino tutto il tempo insieme, ma che sappiano avere anche momenti per sé, sia per coltivare la propria vita anche spirituale, sia per purificare il legame dall’attaccamento della concupiscenza.

[7] Aggiunta, tratta dallo scritto “Vengo anch’io”.