Un pomeriggio all’Idroscalo di Milano

Era un sabato riservato per incontrarmi con due amici, ma al venerdì uno mi avverte che per impegni imprevisti e urgenti. non poteva essere presente, per cui mi restava 1’impegno di ritrovarmi soltanto con l’altro. Pensai che, se fosse stato possibile spostare l’unico ap-puntamento rima-stomi, avrei potuto godere di un intero pome-riggio libero da dedicare ad un riposo che mi avrebbe aiutato a risollevarmi dalla stanchezza fisica e psichica. Con questo desiderio attendeva la telefonata dell’amico al quale avrei proposto quanto sopra.
Sabato, nel primo pomeriggio ricevetti la telefonata dell’amico, al quale esposi il mio desiderio. Egli fu molto comprensivo e, di comune accordo, decidemmo di rinviare il colloquio bimestrale al giorno succes-sivo.
Da parecchio tempo non mi accadeva di poter disporre di un pome-riggio intero da usufruire a mio piacimento. Come un passerotto deside-roso di evadere, mi affacciai al balcone per osservare il cielo e controllare il tempo. Nello spazio lasciato libero dai vari palazzi del condominio, vi-di chiaramente la vetta della Grigna. Per la mia esperienza fondata su quasi vent’anni di osservazione, intuii che il tempo sarebbe rimasto sere-no.
Guardare la Grigna e pensare all’Eremo San Salvatore è per me ormai un’abitudine, come pure elevare conseguentemente una lode a Ge-sù Eucaristico sito in quel Tabernacolo.
Come primo desiderio spontaneo ed emergente ebbi quello di re-carmi all’Eremo, ma poi pensai al lungo viaggio che mi avrebbe sottratto del tempo, pensai al consumo della benzina ed al fatto che la preghiera non rappresenta certo un momento di riposo: allora cercai un’altra solu-zione.
Si fa strada in me l’idea di andare all’Idroscalo per farmi riscaldare dai raggi solari che oggi dopo giorni di tempo nuvoloso e temporalesco si presentano luminosi e caldi.
Spinto più dall’istinto che da una buona riflessione velocemente mi preparo.
Prendo il grande asciugamano di spugna che uso al mare e due rivi-ste per fare un po’ di lettura.
Prima di uscire come di consueto rivolgo una preghiera di lode e di saluto a Gesù raffigurato nel poster appeso in camera.
In auto impiego meno di un quarto d’ora per arrivare alla sponda est dell’Idroscalo, ove posso sostare senza pagare nessun pedaggio. Come prevedevo, e con piacere, vedo che c’è pochissima gente a causa del brutto tempo dei giorni precedenti. Mi reco a pochi passi dall’acqua e gioiosamente osservo che è di colore azzurro, al punto che riesco a scor-gere il fondo.
L’esperienza acquisita fin dai tempi lontani mi fa stare attento al luogo dove adagiarmi, cioè evito di restare accanto a persone immodeste. Evito anche di mettermi vicino alle coppie giovani, perché non di rado capita che si comportino in modo sconveniente alla mia suscettibilità sen-suale.
Per fortuna non c’è quasi nessuno. Così mi accosto ad una persona più anziana di me e ad una famiglia, composta dai genitori e da due figli, che stanno giocando.
Una volta sedutomi mi soffermo a guardare l’abilità con la quale due giovani in mezzo all’Idroscalo guidano la tavola a vela, chiamata Wind-surf. Seguo per un po’ i loro movimenti e noto che uno è più veloce dell’altro, avendo preso meglio la corrente del vento.
Decido di recitare subito il rosario e non avendo trova-to nelle tasche la corona, dimenticata a casa, conto il numero delle Ave Maria puntando le dita per terra.
Passo poi a sfogliare il numero 13 di Città Nuova e a pagina qua-ranta mi fermo a leggere un brano di Chiara Lubich sulla Carità. Termi-nata la lettura, recito una breve preghiera in sintonia con i contenuti dell’articolo. Stanco di stare seduto mi alzo e lasciandomi guidare dalla curiosità, che controllo con la purezza di pensiero, osservo i rari passanti che si spostano da un lato all’altro. Senza nessun motivo apparente raf-fronto le forme a quelle del quadro “La nascita uomini di Venere” di Sandro Botticelli e quelle degli uomini alla statura del “David” di Mi-chelangelo Buonarroti. I confronti tornano a danno delle persone che os-servo.
Si possono guardare in vari modi le persone e, a seconda degli inte-ressi con cui uno le guarda i giudizi e i risultati cambiano. Penso all’innamorato, allo scienziato, al datore di lavoro, al sacerdote. Ognuno di loro ha una visione particolare caratterizzata dalla propria interpreta-zione. Solo Dio ha il cuore e l’occhio perfetto per conoscere la creatura nell’in-sie-me e nei minimi particolari.
Noi creature dobbiamo essere molto prudenti e rispettose nell’accostare ogni creatura umana.
Giudicare il prossimo nell’intimo non è compito nostro.
La critica come pure il giudizio esterno devono sempre essere im-pregnati da una saggezza collegata alla Carità.
Torno a sedermi sull’asciugamano steso per terra e prendo il quindi-cinale “Il regno: documenti”. Mi soffermo a leggere l’articolo “Verso una chiesa solidale con i poveri”. Leggo le prime righe e le trovo interessanti per cui, volendomi impegnare con attenzione, assumo una posa più adat-ta. Mi distendo, appoggio i gomiti a terra, tenendo il busto perpendicola-re, metto le mai ai lati della testa, così da realizzare una posizione di rela-tivo r4accoglimento.
Ogni tanto mi soffermo per pensare a quello che sto leggendo e per verificare quali sollecitazioni trovo a vantaggio della mia vocazione. Lentamente leggo due capitoli e poi smetto per riflettere meglio.
Nel frattempo cambio posizione e nel voltarmi mi accorgo che, a tre metri da me, è a arrivata una giovane coppia che si sta scambiando affet-tuosi baci ed abbracci.
Sono impreparato per accogliere un tal comportamento e così con leggerezza mi soffermo a guardare. Purtroppo, quando mi rendo conto della difficoltà a cui sto andando incontro, i miei occhi sono offuscati e i sensi intorpiditi.Cerco di riprendere l’equilibrio mediante la preghiera, ma essa è debole e così la fantasia va oltre la realtà e aggrava la mia si-tuazione.
San Pietro scrive nella sua prima lettera [5,8-9]: «Vegliate. Il vostro nemico il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede».
Mi facci o forte e il modo di fuggire a quella tentazione lo trovo nel distendermi a terra e nel chiudere gli occhi.
So che il Signore non guarda ai meriti dell’uomo, ma ai suoi bisogni e così lo invoco. Con fermezza mi metto alla presenza di Dio e supplico lo Spirito Santo, affinché mi adombri con la Sua Grazia. In poco tempo ritorna in me la bonaccia e la serenità. Il mio pensiero resta rivolto al Dio buono e misericordioso che sempre interviene in aiuto di chi lo cerca.
Resto fermo e tranquillo in quella posizione come quando ero un bambino e mi trastullavo al contatto con la terra, fon-te di benessere, di ri-storo e di giochi. I1 mio pensiero ritorna verso la mia infanzia vissuta nel paese . Rivedo i cam-pi pieni di erba verde, le corse sui prati, la raccolta della frutta, i bagni fatti nella roggia vicina a casa L’amicizia spontanea con gli uccelli, i grilli, i conigli, le galline, le mucche, l’asinello, il por-cellino, eccetera
Anche pensando al mio passato mi rendo conto di quanto il Signore mi amava anche quando io non mi interessavo a lui.
I miei rapporti furono improntati a devozione nei suoi confronti quando ero piccolo e innocente, ma appena cresciuto mi mise alla prova, perdetti la purezza e mi allontanai da lui.
Anche se allora non mi rendevo conto, fu quello il periodo più de-primente, più misero della mia vita. Reclamavo la mia libertà, la mia per-sonalità, la mia vita, i miei piaceri; insomma volevo essere me stesso, cioè pieno di me.
Non credevo alla debolezza dell’uomo e perciò mi costruii una per-sonalità piena di vuoto, mi resi insoddisfatto e ricolmo di disillusioni.
Quel mio cammino era controllato da Dio che permise che speri-mentassi il disordine interiore. In quel vuoto profondo, fatto di solitudine anche se ero in pieno rumore, e di insoddisfazione, anche se ero compli-mentato, egli ebbe misericordia di me e con tono più forte mi chiamò. Sentii la sua voce piena di tenerezza e colsi il suo amichevole abbrac-cio.Nelle mie tenebre vidi la sua luce, nel mio cuore di pietra pose il calo-re del suo amore.
Ora mi trovo qui sulle sponde dell’Idroscalo, quasi spoglio no-n sol-tanto di indumenti, ma anche di virtù. Chiedo perdono dei miei peccati e della mia costante debolezza, ma sorrido al Dio che mi ama.
Tocco delicatamente la terra e, nel frattempo, lascio spoglia, libera la mente, permettendo alla meditazione di cogliere i pensieri che lo Spirito mi dona.
Con tanta pace e serenità penso alle schiere sterminate di persone sepolte nella Terra , che attendono la risurrezione. La terra ora mi tiene sopra di sé, ma un giorno accoglierà an-che il mio corpo nel suo grembo e mi farà da culla. Sento per lei rispetto e devozione, perché essa è buona madre che sostiene l’uomo nelle sue necessità.
Essa è obbediente alle leggi divine e produce ciò che le viene ordi-nato mostrandolo apertamente e donandolo a piene mani, ma con lo stes-so garbato impegno sa nascondere i segreti affidatigli dal suo Creatore.
In se stessa nasconde i corpi delle persone vissute nel tempo renden-doli polvere secondo il volere di Dio, il quale nella limpidezza della sua luce sfolgorante distintamente vede al suo posto ogni corpo inanimato e senza forma, che attende la sua parola di resurrezione.
In essa vi sono degnamente accolte anche quelle creaturine che la cattiveria umana ha strappato dal ventre materno e buttato nella pattumie-ra. Anch’esse attendono la vita senza fine con uguale dignità ed immenso amore per tutti.
Cara ed amata terra, creatura del nostro Dio, tu ami e lavori nel si-lenzio, sei umile e pura nel servire i figli del Dio vivente-.
Sei grande nella carità, sino ad accogliere le varie putride scorie, che, dopo averle assimilate, riconduci ad alta dignità. Dimostri non essere matrigna neppure quando ti tolgono dal tuo splendore di serva fedele a Dio e ti costringono a buttarti fra le braccia di uomini avari, sporchi, pre-potenti, per farti diventare sgabello dei loro vizi. Tu, nella tua costituzio-ne sei a tuo modo beata, perché umile e pura nel glorificare chi ti ha creata.
La complessità delle tue risorse, i modi così diversi di poterti usare mi spronano a realizzare con letizia la mia vocazione nelle attività tempo-rali. Inviti l’uomo a usare la sua scienza per scoprirti più intimamente, per donarti per il progresso dell’umanità. Vuoi essere vergine e pura per essere più feconda. E a chi ti accoglie e ti lavora rispettandoti, non solo offri il cibo della vita, ma con la grazia di Dio sei motivo di ispirazione alla contemplazione.
Se sto attento alle leggi che ti costituiscono, ritrovo in te anche il se-gno del Creatore e mi sproni a santificarmi usando tutte le virtù evangeli-che, ma specialmente quelle dell’umiltà e della purezza. Alla mente ri-chiami la visione dei puri di cuore, perché vedranno Dio.
Purezza non solo come dono ricevuto, ma virtù ricercata nel corpo e nello Spirito; purezza nelle intenzioni e nelle azioni . Comportamento pu-ro con me stesso e con il prossimo, nella comprensione e nel rispetto.
Mi inviti a realizzare la purezza in senso religioso e non psicologico. Fedeltà all’Amore per saper veramente amare con fecondità. È Lui che, amandoci, ci insegna ad amarlo ed a saper elargire l’amore alle creature nella verità.
Immobile ed estasiato per la presenza interiore di qualcuno che mi guida, penso con delicatezza all’amore di mia madre. Viva nell’invisibile, ma in maniera da rendersi spiritualmente sensibile e mettermi in grado di cogliere un legame più forte di quando era visibile. Con lei sono in co-munione in un modo che non riesco a spiegare. Anch’essa ha parte in quel rapporto invisibile, ma vero che si ha con Dio, con la Madonna e con i santi tutti.
Penso di sentirmi come un cieco che non vede, ma percepisce anche senza toccare la presenza reale … del prossimo, di una realtà diversa dalla nostra, ma che circonda e, volendolo ci penetra.
Siamo divisi dall’invisibile soltanto da un leggero velo, che alle volte sembrerebbe di poter spostare con le mani tanto è il desiderio di gioire del nascosto mistero, che non è più mistero, ma un tutto che il no-stro nulla coglie, ma non sa spiegare, perché non materiale.
Con esso si riesce a comunicare e ad intendersi con un linguaggio vario fatto di silenzio, di nulla, di parole, di azioni, di sensazioni, il tutto confrontabile e coerente con il Vangelo.
Il tempo passa veloce. Le lancette dell’orologio indicano le ore di-ciassette.
Il sole è ancora caldo e i suoi raggi continuano a riscaldare il mio corpo, cominciando a far arrossire la mia pelle.
Mi alzo, scendo lungo la scarpata e mi reco vicino all’acqua ove un bambino e tira un filo con attaccato un battellino. Vedo qualche pescioli-no che si avvicina alla riva e poi, con una certa velocità, riprende il largo.
Girandomi rivedo quella coppia a cui ho accennato precedentemente e che ora sta leggendo. Lui legge i fumetti, lei una rivista femminile.
Alla mia sinistra, a una decina di metri, ma vicino al bordo dell’acqua vedo immerso un involucro scuro che sembra una spugna, ma che potrebbe anche essere un ciuffo d’erba va-gante sotto il filo dell’acqua. Mi avvicino per osservare cosa sia di preciso e così scopro che è un insieme di pesci.
Sono sicuramente più di cento. Un signore, vista la mia meraviglia mi informa che sono pesci gatto da poco nati che restano così vicini alla riva per non essere mangiati dai pesci grossi che si trovano al largo.
Penso alla grandezza e alla complessità della natura che conosco co-sì poco. Vivo nel mondo e di lui so molto poco. In questo momento mi sento tanto escluso, emarginato, ignorante. D’altronde tutti più o meno siamo in questa situazione.
DOBBIAMO ACCONTENTARCI DELLA NOSTRA REALTÀ
Io spero che per me non dipenda tutto dalla mia pigrizia ma dalle circostanze della vita per cui accetto la realtà e rivolgo al Signore, con il pensiero, la frase del Padre nostro: “Sia fatta la Tua volontà”.
Mi duole riscontrare che l’uomo, a volte in maniera totale e qualche volta in modo parziale, non riconoscendo i suoi limiti naturali, ritenga inesistente ciò che egli non riesce a recepire concretamente, perché ciò lo spinge a voler adottare il creato secondo i suoi volubili criteri e le sue personali vedute diminuendo così il valore reale e la bellezza ineguaglia-bile di tutta la realtà creata.
L’uomo è al centro del creato visibile, ma a 1ui sfugge l’invisibile spirituale, perché, per un certo tempo iniziale della sua esistenza non gli è concesso di possedere appieno tutta la realtà creata. Normalmente solo quando la sua persona viene scissa, cioè il corpo viene immobilizzato nella morte, l’anima acquista la capacità di recepire appieno le realtà in-visibili.
Questa è la realtà comune, normale, però il Signore con la sua libera iniziativa interrompe, quando vuole e con chi vuole queste leggi e per-mette di vedere 1’invisibile in modi diversi anche durante la vita terrena.
Questi fatti non troppo comuni non sono da desiderare, perché sono doni gratuiti per i quali non occorre nessun merito. «Il Signore dice a Tommaso: “Perché hai visto, hai creduto. Beati quelli che non hanno vi-sto e hanno creduto”» [Giovanni 20,29].
Con una vita attiva nella fede, con i suoi momenti di luce alternati ad altri di oscurità, ma vissuta nella fiducia in Cristo, espressa con una pro-fonda purezza di cuore, si ot-terrà ciò che più conta: la Gloria di Dio, il quale tiene in mano la perla preziosa della nostra santità, ovvero ci prepa-ra il posto nel paradiso.
Mentre sto decidendomi a rientrare a casa vedo un vivace passerotto saltellare sulla riva. Trovato un pezzetto di pane con il becco lo prende e vola via con tanta energia da riuscire a stupirmi. Approfitto di questo fatto per pensare alla Santa Comunione che fra poco andrò a ricevere ed anche all’impegno di realizzare con brillante energia la mia vocazione.
Come un lampo a ciel sereno mi viene il dubbio di non aver usato bene il pomeriggio. Penso che se fossi stato più generoso avrei trovato il modo per essere utile al mio prossimo. Forse la mia poca generosità mi ha fatto un brutto scherzo e così mi sento incerto e titubante. Mi riequili-brio pensando che dovrò stare più attento un’altra volta. Per oggi ormai quello che è stato, è stato, ciò che importa è rimediare in futuro.
Non è per nulla costruttivo soffermarsi ad analizzare scrupolosa-mente i propri errori, anche se recidivi. È invece indispensabile chiedere perdono con cuore sincero e poi sapere e volere sempre ricominciare con rinnovata fedeltà. Non lasciamoci prendere dalla diabolica desolazione, ma poniamo grande fiducia nella inesauribile misericordia di Dio Padre.
Ogni volta senza timore, ma con vera umiltà, rinnoviamo l’entusiasmo nel seguire colui che solo ha parole di vita eterna.
Mentre raccolgo e metto nel sacchetto di plastica le mie cose, ancora una volta prego per le persone che si trovano negli aeroplani che ho visto arrivare e partire dall’aeropor-to qui vicino.
Prima di entrare in auto rivolgo i1 pensiero a Dio.
Nell’osservare le sue mirabili opere, pur non sapendo a memoria il “Cantico delle creature” lo ricostruisco attraverso le realtà che mi stanno innanzi.
“Benedite, opere tutte del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli. Cielo, terra ed acqua benedite e lodate il Signore.
Uccelli del cielo e pesci dell’Idroscalo benedite e ringraziate il Si-gnore.
Alberi meravigliosi e tenera erba, benedite il nostro Dio.
Uomini e donne che state riposando sotto i raggi solari lodate ed amate il Signore.
Amici e fratelli del Gruppo non stancatevi mai di essere i poveri, i casti e gli obbedienti del Dio che tanto ci ama.
E tu, Ireos, ringrazia e loda in eterno il Dio della misericordia”.