In missione come i primi discepoli (1986)

Questa riflessione nasce dalle parole che il Responsabile Generale rivolse al Cardinale Carlo Maria Martini durante il saluto introduttivo dell’ultimo incontro che la comunità ha avuto con il Pastore della Chiesa Ambrosiana.

Augusto tra l’altro disse:

«In Cristo siamo protesi a condividere le realtà di chi non conosce Dio, di chi non conosce la pace del cuore e la compartecipazione nella carità in questa terra “drammatica e magnifica”, come la definiva Paolo VI».

Oltre al tradizionale modo di intendere la missione, che è quello di trasferirsi in terre straniere per portare il Vangelo ad altri popoli, vi è una missione più spicciola ma non meno importante ed è quella che si riallaccia ai primi discepoli che annunciavano il Vangelo ai vicini di casa, a quelli che incontravano nel vivere quotidiano.

Anche noi ci troviamo pressappoco nelle stesse situazioni di allora. C’è gente che non crede, o crede soltanto in parte; gente indifferente alla quale non interessa il problema religioso; gente schiava dei suoi idoli. In questo periodo mi sembra che siano molti coloro che si trovano nelle situazioni ora accennate e pertanto ci si deve chiedere come portare nella via della salvezza queste persone.

Ognuno di noi ha i suoi casi particolari, i suoi problemi che vanno ben considerati; io però ora tento di indicare alcuni indirizzi che per me sono stati validi, e che potrebbero esserlo anche per voi. Bene sarebbe che anche altri mi seguissero su queste pagine nell’offrire a tutti noi le loro esperienze, in modo di possedere informazioni più ampie.

Innanzitutto io cerco di conoscere la persona nella sua situazione, nei suoi carismi, nei suoi problemi reali. Sto attento a rispettare la sua situazione morale; sia essa atea con situazione di vita quasi anomala, oppure una persona non solo religiosamente, ma anche civilmente, irregolare. Osservo la sua posizione sociale, culturale, caratteriale, eccetera.. Con tutti cerco di essere un interlocutore umano e rispettoso. Un punto molto valido è quello di condividere i rapporti umani anche quando sono collocati in un contesto debole e di scarsa comunicabilità.

Se sto attento potrò scoprire che gli interessi umani, anche quando a prima vista sono apparentemente divergenti, hanno dei problemi e valori molto comuni e simili ai miei.

Si tratta di saperli scoprire e valutare, per poi intervenire con una umiltà senza limiti. L’umile con più facilità è capace di non irritare, e quindi di essere accattato. È bene valorizzare i gesti di cortesia semplici, gli aiuti spontanei e minuti; condividere le gioie e le sofferenze con animo amichevole.

Per riuscire a far bene queste cose si deve lavorare virtuosamente su sé stessi, per divenire persone docili e piene di carica umanitaria. Non stancarci mai se notiamo dei fallimenti; non deluderci, perché la strada non sempre risulta facile.

Le nostre scelte preferenziali per avvicinare chi ha più bisogno dovrebbero costruire in noi un comportamento tipico e delicato. Dovremmo divenire persone facili da accostare, disposte ad essere usate in qualunque sacrificio. In un contesto così fatto il rapporto amicale potrà anche aprirsi a confidenze, a segreti nascosti, a bisogni di consigli, di comprensione, e, perché no, aperti ai valori dello Spirito.

Allora più facilmente saranno accolte le parole evangeliche, e l’invito a una fede fatta di piccoli passi, di soste, di verifiche, di stimoli, di silenzi. Un cammino non violento, non faticoso, ma una verità offerta di volta in volta per essere lentamente assimilata.

I successi potranno essere anche scarsi, ma ciò che conta è seminare specialmente con la preghiera. I risultati non sempre si vedono nelle persone, ma qualche cosa si lascia sempre dentro di loro.

Bisogna stare attenti a non fare violenza e ad amare sempre, amare disinteressatamente anche quando non si viene compresi, o addirittura si viene respinti.

È facile fare dei passi falsi, e perciò è bene riconoscere la nostra incapacità e rimediarvi con un modo che potrebbe essere fatto anche soltanto di silenzio sereno e sorridente. Per quanto sarà possibile dovremmo essere premurosi e servizievoli, senza far mai nulla pesare, dare senza aspettare ricompensa così come fa con noi Gesù.

Cercare di stare vicino ai poveri, agli ammalati, agli anziani, agli handicappati, ai drogati, agli alcoolizzati, agli emarginati, ai conviventi, a coloro che si trovano o hanno dei parenti in prigione. Essere presenti nei momenti dolorosi, quale la morte di qualche familiare che mette in difficoltà e nel lutto.

Accogliere e sostenere chi trovandosi pubblicamente nel peccato non riesce a uscirne. Pregare con loro, non metterli in disparte, ricordandoci che le prostitute ci precederanno nel Regno dei Cieli.

In questi casi, e in tutti gli altri possibili, come dicevo precedentemente, va portato il nostro aiuto di carità e di incitamento alla salvezza.

Quando ero ragazzo mi dicevano: «Salva un’anima e salverai te stesso». Se sia vero questo non lo so, ma penso possa essere un incentivo per vivere in stato missionario.

Potrei continuare ancora, ma credo che quello che ho scritto, anche se non ben coordinato, abbia già delineato abbastanza un modo d’essere missionario oggi nel quotidiano.