Vivere nella società e nella chiesa locale il proprio impegno ecclesiale e missionario (1978)

Sovente capita di credersi persone di fede, che vivono nella fede, ma poi in alcuni particolari momenti di verifica ci si accorge che la fede è superficiale e che pertanto deve essere approfondita.

È necessario quindi ravvivare costantemente la fede e chiedere a Dio che ce la renda più profonda e concreta. La fede è un dono mai acquistato totalmente, che va chiesto con insistenza, perché è un regalo grande che porta a meravigliose conseguenze.

Vivere continuamente nella fede significa penetrare nella realtà misteriosa di Dio che continua a farci sempre più suoi, e saper leggere in ogni circostanza, anche in quelle più avverse e oscure, i segni tracciati da Dio per noi.

Il dolore, la sofferenza, il fallimento, la gioia, la pace, viste con lui sono il normale cammino in questa terra caduta, a causa dell’uomo, nel peccato originale.

Egli non solo ci conosce, perché ci ha creati, ma permettendoglielo ci conduce a realizzare il nostro fine migliore: la salvezza e la gloria.

Stiamo vivendo in questa realtà passeggera l’inizio della nostra eternità; è una prova difficile, e per aiutarci Gesù non ha disdegnato di venire tra noi e di vivere come noi. È venuto per redimerci, ma anche per farci coraggio con il suo esempio e con il suo sostegno.

Ieri come oggi, domani e per sempre, egli è con noi nell’Eucarestia, e ci assicura la presenza del suo spirito e della sua parola (la sacra scrittura). Egli con la sua bontà incontenibile e incommensurabile, ci ha radunati e fatto suo popolo, ci ha costituiti Corpo Mistico, sua Chiesa.

Nella Chiesa troviamo la sua presenza mediante i sacramenti, i suoi doni, i suoi carismi. Egli è presente anche dove non sappiamo vederlo, e ci offre il suo sostegno anche quando sembriamo soli e abbandonati, o addirittura per debolezza rompiamo i rapporti di grazia con lui.

All’interno del suo popolo ci ha dato gli apostoli, che hanno la potestà di guidarci e conservare senza errore la sua parola. Anche in questi giorni ci ha ridonato il successore di Pietro, il capo degli apostoli, Giovanni Paolo I, servo inconfondibile di verità e presidente della carità e della Pace, che va sorretto con la nostra preghiera e devozione filiale.

È nostro compito guardare queste realtà con una visione di fede, e con puri sentimenti che promuovono la comunione. È necessario essere sereni e attivi nella fedeltà agli apostoli aiutandoli, con la santità e la missionarietà, a reggere la Chiesa di Dio e nostra.

I fedeli non possono non condividere le loro attese, le loro ansie, e vivere in armonia le incomprensioni e gli attacchi fatti al popolo di Dio.

Le correzioni fraterne degli amici, o quelle dei fratelli non credenti ci devono stimolare ad una continua verifica della verità, offuscata dai nostri errori, nel servizio alla comunità.

Nello spirito e sull’esempio del Divin Maestro, che ci è sempre vicino, i Vescovi, a seconda delle esigenze dei tempi, del luogo, delle culture, costituiscono delle strutture e fanno piani pastorali atti a promuovere e a conservare al popolo di Dio la sua unità e la sua fede.

Ci sono attualmente varie strutture e organismi guidati direttamente dal Vescovo, o affidate a persone che lo rappresentano, e noi per esperienza sappiamo che non sempre sono realizzate nel migliore dei modi; così che esse possono creare stati di disagio, o perlomeno non soddisfano appieno le nostre attese.

Queste difficoltà, ricordiamolo bene, sono un fatto normale, perché la Chiesa operante (o militante) non si trova in stato di carità, ma bensì in continua ricerca di essa, pertanto facilmente si incontrano disagi.

Tutte le difficoltà devono essere superate non con il mezzo della critica distruttiva, e a volte disunificante, ma con azioni costruttive, ispirate dalla carità e dalla santità. Ognuno deve saper togliere la trave che ha nel proprio occhio, prima di togliere la pagliuzza che si trova nell’occhio del fratello.

Anche noi dobbiamo partecipare all’esigenza della chiesa e collaborare con tutti a realizzare strutture capaci di servire i fedeli; ma esse devono essere in ogni caso sorrette e vivificate mediante una vita di grazia, di servizio, di comunione. Strutture forti e nello stesso tempo semplici, che diano certezze di libero ascolto dello Spirito Santo.

Che si trovi inserito in organismi o comunità nazionali, diocesane, o decanali, o parrocchiali, il cristiano deve mettere a disposizione i suoi carismi secondo le personali capacità.

La partecipazione deve essere effettiva, impegnata, e responsabile. Saper servire e obbedire per saper anche comandare. Saper ascoltare più che parlare, saper essere semplici più che complessi. Si accettino quelle mansioni in cui si può esser più utili, ma non si rifiutino, anzi con l’aiuto divino si cerchino, i servizi più umili.

Nei luoghi ove ci fossero più persone appartenenti al Gruppo si abbia l’avvertenza di non presentarsi mai come Gruppo, per evitare ai fedeli il peso di una presenza d’élite che possa infastidire.

Ognuno sia presente con la personale e qualificante disponibilità offerta al servizio di chi la desidera, sia esso Vescovo, decano, parroco, consiglio pastorale, eccetera

Non avendo trovato un impegno particolare nella propria Chiesa locale (parrocchia), si rimanga ugualmente inseriti nella vita dei fedeli radunati per la liturgia, e nelle altre realtà del popolo, per continuare a camminare insieme.

I poveri, gli ammalati, i vecchi, gli sposi, i giovani, i ragazzi, e tutti i componenti della comunità locale sono fratelli da amare e da aiutare, senza togliergli la gioia di poterci aiutare.

Si sia fedeli e costanti nel vivere la fede senza lasciarsi possedere da eccessive o astruse teologie che possono intralciare la comprensione dei meno dotti e creare dei pregiudizi fuori luogo.

Non è saggio presentare o sostenere programmi pastorali (anche se belli) che la comunità neppure in parte sia in grado di realizzare e capire.

Sia nostro compito primario impegnarci a leggere, studiare, riflettere, e, se necessario (perché trascurata), proporre la pastorale del proprio Vescovo. Se ci si trova in una chiesa dove la pastorale del proprio Vescovo incontrasse delle difficoltà, si ricorra alla preghiera e si mediti alla luce dello Spirito perché illumini la comunità.

Se la comunità presieduta dal rappresentante del Vescovo decidesse di fare una pastorale diversa nella sostanza, ma non nello spirito, si partecipi ad essa con animo umile e sereno.

Come testimonianza personale si abbia la saggezza di aprire con magnanimità la porta della propria casa ai fratelli bisognosi, siano essi credenti o non credenti. Si aiutino i sacerdoti secondo le loro necessità spirituali e materiali.

Non si tenga per sé il dono della fede e della speranza, ma lo si offra con gioia a tutti. Si senta il dovere di condividere con tutti la crescita dei valori ecclesiali.

Ci si metta in stato missionario diffondendo la gioia della fede agli increduli, ai dubbiosi, a coloro che non si sentono di condividere le rughe della Chiesa.

Si sorreggano gli adolescenti, i giovani non maturi nella fede e che, con facilità, non sanno reggere ai disagi derivanti da situazioni pastorali difficili e da cattivi esempi. Si cerchi di accogliere con stima fraterna i nuovi parrocchiani.

Senza arrogarsi il titolo di pacifista si cerchi di rinvigorire la comunione tra le persone e i vari gruppi ecclesiali, che vanno accolti e rispettati con le loro caratteristiche vocazioni, ma che dovrebbero essere partecipi, anche se in campi specifici, della stessa pastorale del Vescovo o del suo delegato.

Nel limite del possibile, ma con vigilanza, anche tramite il nostro gruppo, si studino i fenomeni della sempre nuove sfumature dell’ateismo, che si contrappongono con sottile e sofisticata cultura alla fede cristiana, così da aiutare i fedeli a restare, con fermezza e cognizione fondata, ancorati al Dio della verità assoluta.

 

Queste linee che lascio alla vostra riflessione e alla vostra creatività, sarebbe bello fossero fatte proprie da ciascuno per il bene della Chiesa.

Comprendo che l’impegno può sembrare forte, ma ognuno si disponga a fare seriamente quello che può, mettendo a fuoco le virtù dell’umiltà e del sacrificio.

Non dobbiamo esigere di essere persone straordinarie, ma di compiere con serietà ciò che è possibile per il bene dei fratelli, amati non a parole, ma con le opere, cioè con l’amore vero, e, se fosse possibile (vorrei usare parole forti) “come Dio ci ama”. Tutto questo in definitiva ritornerà a beneficio di tutti, ma particolarmente di chi si sarà impegnato con zelo.

L’impegno del cristiano (sull’impegno infatti saremo giudicati) è di lavorare affinché l’uomo viva libero nel raggiungimento della sua dignità naturale, ma a ciò è necessario allegare come proposta una vita di fede, anche se l’uomo non sempre lo percepisce.

Non lasciamoci prendere dal timore di additare come modello di vita lo spirito evangelico (pensando di offrire un’esistenza difficile), tutt’altro si invita l’umanità a realizzare con rettitudine e senza equivoci un’esistenza vera, oserei dire serena, e senza fine.

Un’esistenza di carità in cui la creatura riconosce il suo Creatore, ed è da lui amata e abbracciata come figlio; riconosce la sua storia e colui che si è fatto uomo per condurre il mondo nella verità e nella fratellanza; riconosce la vera felicità ricevendo il dono incomparabile dello Spirito Santo.

Amici, come altre volte ho detto, stiamo attenti a non presentare il mistero di Dio e della Chiesa in modo scorretto, perché ciò renderà più difficile la ricezione e l’assimilazione a chi ci ascolta.

Una vita fatta di testimonianza, una parola chiara e delicata, possono diventare veicolo di luce nel quale si inserisce il dono di Dio; la sua presenza “fatta fede”, cioè recepita.