Elementi di vita unitiva (1979)

Unità tra anima e corpo, tra presente e futuro, tra Dio e creatura

Durante il mio pellegrinaggio a Gerusalemme, men­tre visitavo il tempio costruito sul Monte Calvario sono rimasto spiritualmente impressionato dalla vici­nanza tra il punto dove Gesù Cristo morì ed il luogo ove egli risorse.

La morte e la vita eterna si trovano nella stessa basilica, quasi a voler ricordare l’unità tra questa vita e l’altra vita ed anche per confermare l’amore indissolubile di Dio verso la persona umana, in qua­lunque stato essa si trovi.

Questo ricordo è ancora così vivo in me da favori­re intensamente l’odierna riflessione che spero non ri­manga soltanto a livello intellettuale, ma che riesca a identificarsi con tutta la realtà umana.

In ogni circostanza il fedele, il servo di Jahvè, è chiamato ad accogliere le verità del disegno divino accingendosi a vedere, gustare e quindi promuovere con­seguenti atteggiamenti virtuosi che favoriscono l’uni­tà del corpo con l’anima, del presente con il futuro eterno e a cogliere l’abbraccio unificante del Creatore con la sua creatura.

La persona umana composta di anima e corpo viene condotta dalla Grazia verso l’unica giusta direzione: Dio, nel Suo regno eterno che era, è, e sarà.

La partecipazione a questa realtà viene ottenuta in Cristo realizzando il motivo della personale esi­stenza: “Lodare Dio, operando nel mondo per il bene totale, di ogni creatura, affinché progredisca il re­gno di Dio”.

Ciò impegna ad amare il corpo umano come Cristo ha amato il suo e quello di ogni persona. Il corpo deve essere rispettato nella sua struttura, deve esse­re nutrito, riscaldato, avere riposo sufficiente, es­sere pulito, se ammalato deve essere curato, eccetera..

L’amore per il corpo deve essere rispettoso del­le necessità e dei doveri che esso deve compiere.

Deve far proprie, e pertanto vivere con amore e in un modo corretto, le leggi naturali, mediante un giu­sto comportamento morale che lo renda degno di acco­gliere l’Eucarestia.

Il corpo è stato creato per vivere la sua con­creta originalità nel periodo della vita terrena e in quello della sua gloriosa risurrezione.

L’anima vive intimamente con il corpo in una uni­ca persona e ne coglie ogni sua espressione, ogni suo movimento. Lo sorregge nel cammino e lo illumina della luce che essa, con devoto impegno, coglie mediante la grazia divina. L’anima conduce il corpo ad agire nel piano di salvezza e una volta che il corpo giace sepol­to nella terra, attende con amore la sua risurrezione per ricollegarsi con lui e vivere per sempre indissolubilmente.

L’uomo fin dalla sua nascita deve fare sintesi, mediante l’uso della sua volontà, tra spirito e mate­ria e vivere pienamente le realtà dell’una e dell’al­tro. Esso è chiamato a vivere in pienezza il periodo scandito dai minuti di ogni giorno, cioè di quel tem­po che essendo creato ha una sua fine per lui e per il mondo intero, mentre per Dio non è altro che un eterno presente che favorisce la sua presenza con tutti gli uomini ih un modo a noi incomprensibile, ma vero.

Il verbo generato dal Padre, e per gli uomini in­carnato, ci richiama con forza alla realtà della vi­ta nella sua pienezza, e perché egli è sempre esisti­to, e perché ha genialmente trovato il modo di resta­re ancora con noi mediante l’Eucarestia.

Nel pane vivo egli è presente nella sua pienezza divina e umana (anche se l’uomo nella sua limitata visibilità riesce a coglierlo soltanto mediante la fede e non con gli occhi del corpo). Cristo, Dio e uomo, composto di anima e corpo, nascosto sotto le specie del pane e del vino è vivo e vero ed è vivente nel presente e nell’eterno. È alla destra del Padre e con lo Spirito Santo e nello stesso tempo vive tra noi.

È il Salvatore dei salvati, è il Capo del Cor­po Mistico, Egli è il segno sicuro della risurrezio­ne umana. In lui, pur nella distinzione delle due na­ture siamo una cosa sola, facciamo comunione; si fa cibo per favorire la nostra assimilazione alla grazia Eucaristica e donarci così il Suo Spirito, affinché «non son più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» [1].

Le realtà di questi doni che avvengono nella per­sona umana sono elementi significativi della vita eter­na che già è in noi.

Il Cielo e la Terra, il presente e il futuro eter­no fanno già unità nella creatura umana. La Gerusalemme celeste, i cieli nuovi, pur essendo per ogni persona una costante conquista già sussistono nel­la creatura con una dimensione che supera l’attuale ca­pacità concettuale e sensibile e che invece saran­no pienamente visibili nella vita beata.

È necessario cogliere e approfondire la visione della fede per poter essere disponibili con equilibrio ai rapporti divino‑umani che si collocano costantemen­te nelle situazioni visibili e in quelle invisibili.

Una reale conferma dell’esistenza di queste real­tà possiamo trovarla ripensando alle vere apparizioni; Vi invito a ricordare quelle della Madre di Dio. Se sia il suo vero corpo assunto in Cielo a ripresentarsi a noi, oppure sia il suo Spirito che miracolosamen­te si renda visibile agli occhi umani ed emetta parole percepibili alle orecchie, non so; ma è certo che una realtà del Cielo si fa visibile in terra e convalida l’unità dei rapporti tra le realtà create, sia quella spirituale come pure quella materiale e nel contempo certifica l’esistenza della comunione tra il Creatore e le creature, tra lo Spirito e la materia.

Alcune esperienze di santi specialmente se misti­ci sono state in grado di presentarci queste realtà in modo singolarmente esistenziale anche quando essi di­cevano di trovarsi in grande aridità spirituale.

Sono realtà che la Chiesa ha recepito nel suo seno e scorrono in lei come il sangue nelle vene. Sono l’os­sigeno dei Suoi polmoni. Sono i doni dello sposo alla sua sposa. Egli fa unità con la sua Chiesa e l’avvolge nel suo cuore come singolarmente abbraccia ogni creatu­ra concedendole il suo perdono e la sua benedizione.

Egli è così misericordioso e amante delle creature da offrirsi per esse in olocausto di salvezza.

Egli, Grazia, ha chiamato noi peccatori a coricarsi nel suo giaciglio come se la Grazia si fosse innamo­rata del peccatore. La Grazia di Dio sposa il peccatore per aiutarlo a purificarsi e far così con lui unità pur nella naturale distinzione.

«Egli ama ogni uomo immensamente, più di quanto ciascuno è capace di essere amato; e vuole essere ria­mato come Dio solo merita: senza misura, cioè con tutto il cuore e sopra ogni cosa» [2].

In queste realtà frutto della sua misericordia e del suo amore diventa più facile vivere completamente l’unità della propria persona, realizzando l’insosti­tuibile caratteristica presente che fa già parte del futuro e nello stesso tempo per mezzo della grazia di­venta più facile, stendere umilmente la propria mano nel senza tempo mentre osiamo dire a Dio: «Eccomi! Io sono del mio Diletto e il mio Diletto é mio, Egli ci pasce tra i gigli» [3].

In questa meravigliosa realtà vissuta con una fe­de che permette di cogliere profondamente la verità si viene avvinti dal dono dello Spirito e spronati a realizzare la personale santità con l’aiuto di Maria santissima e di tutti i santi, nell’indispensabile unio­ne con l’Unico Santo.

Il Calvario viene attratto e reso splendente dal Tabor e la luce che ne scaturisce si tramuta in un canto di gioia espresso con la vita. Così il tempo pre­sente e quello futuro rimangono avvinti da quello sem­pre e unicamente presente di Dio Trino, amore in sé e per tutte le creature che in ringraziamento glorioso cantano: «Così è! La Lode, la Gloria, la Sapienza, la azione di Grazia, l’Onore, la Potenza e la Forza al nostro Dio nei secoli dei secoli! Così sia!» [4].


[1] Gal 2,20.

[2] Cardinale Giovanni Co­lombo, Discorso del 20 ottobre 1979.

[3] Ct 6,2.

[4] Ap 7,12.