Non è tutta fantasia (1982)

Mi sono appena staccato dal mio corpo, e pertanto sono un’anima che si trova in una nuova spirituale realtà. In questo luogo dallo spazio infinito si è vivi e ci si conosce.

In un istante ci si deve abituare alla nuova situazione, e, per fortuna, ciò riesce con la stessa naturalezza con cui un bambino appena uscito dal grembo materno si adegua alla nuova realtà.

I mezzi di comunicazione non sono uguali a quelli terreni, perché le vie spirituali sono diverse: sono molto migliori e più comode. Qui tutte le relazioni sono immediate, e, pur essendo personali, hanno una comunione totalizzante con tutti.

Tra le creature umane legate al corpo mortale (dimorante sulla terra) e quelle spirituali (situate nella realtà invisibile) si riscontra una grande meravigliosa diversità a vantaggio di queste ultime; tuttavia penso che una felicità più completa si avrà quando nella risurrezione finale i due elementi della persona umana (anima e corpo) potranno nuovamente sussistere nell’unità.

Da ciò che vi ho detto avete capito che qui non si scrive; io però per farmi capire da voi, che non intendete il dialogo degli spiriti, userò i mezzi espressivi da voi conosciuti.

In questo istante osservo una luce meravigliosa, intensa, sfol­gorante più di tutte le galassie messe insieme. Distinguo una per­sona stupenda, forse è Gesù venuto a giudicarmi. Non ricordandomi di essere senza il corpo tento di inginocchiarmi, ma non riesco perché non ho la forma corporea. Non conoscendo il comportamento necessario in questa situazione mi sento in dovere di attendere degli ordini o almeno dei consigli.

La persona che si trova innanzi a me mi dice: «Sono Pietro».

Pieno di stupore resto incantato ad osservare la bellezza paradisiaca di Pietro, mentre egli con una espressione dolcissima prosegue a dirmi: «Il Signore è molto più bello. Egli ti attende per il giudizio. L’istante che stiamo vivendo è un attimo del trapasso: un tempo senza tempo, un istante tanto breve che nessun meccanismo umano mai riuscirà a distinguere, e che gli uomini mortali non potranno mai né definire né distinguere».

Queste parole mi ricordano la seconda lettera di Pietro: «Una cosa sola non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni, e mille anni come un giorno solo. Il Signore non ritarda nell’adempiere la sua promessa, come certuni credono, ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca ma che tutti abbiano a pentirsi» [1].

Io scruto Pietro per cercare di capire dai suoi atteggiamenti, dalle sue espressioni quale sarà la mia futura destinazione, ma da lui non riesco a capire nulla.

Non è misericordioso, perché per me il tempo della miseri­cordia è passato. Non è felice, perché Dio non mi ha ancora giudicato e Pietro forse non sa ancora se sarò destinato ad en­trare in paradiso. Mi sembra di capire che non dà importan­za ai suoi personali senti­menti, ma gradisce essere in sintonia con Dio e da lui attende il modo di agire nei miei confronti.

Per me sono attimi di tensione, perché sono così inferiore a lui da non sapere che cosa fare. Mi sento solo, isolato con la mia po­vera realtà anche se ho amici in paradiso e altri ancora sulla terra che pregano per me.

Penso ai miei errori e ne ho paura, perché sono molti; cerco di far emergere le mie virtù, ma sono tanto scarse e confuse da risul­tare indecifrabili.

Non sapendo come potermi aiutare, cerco di farmi furbo, come insegna una parabola del Vangelo, e pertanto penso che potrei ricordare a Pietro l’amicizia che ho avuto per lui anche in terra recandomi più volte a Roma a rendere omaggio alle sue ossa. Mentre vorrei dire que­ste cose, sento dentro di me che quelle visite erano interessate perché soprattutto chiedevano il suo aiuto. Infatti io che cosa potevo fare per una persona già nella gloria? I miei Osanna e tutti gli Alleluia sono sempre stati riservati a Dio e non a Pietro.

Avrei potuto intavolare un discorso evidenziando il mio operato in famiglia, nel lavoro, e invece decido di parlare del Gruppo così che il discorso possa eventualmente essere pubblicato sul periodico “Esperienze di vita”. A dire il vero è un po’ poco, perché esce soltanto quando può, ma la pubblicazione è gratis, perciò ci si deve accontentare anche se a me pia­cerebbe… (Meno male che la redazione non ha installato qua dei microfoni abusivi altrimenti sarei nei guai).

Con modi affabili mi compiaccio con Pietro che è stato tanto ama­to da Gesù al punto da affidargli la sua Chiesa e le chiavi del paradiso. Faccio notare che ancora oggi, in un certo senso, egli median­te i suoi successori, è il reggitore della Chiesa militante e perciò lo è anche del Piccolo Gruppo di Cristo, che di essa fa parte.

Gli occhi di Pietro si aprono enormemente, la fronte si corruga e le sopracciglia si innalzano.

Voi che siete ancora sulla terra penso che abbiate capito il moto di stupore e di riflessione di Pietro. Forse il tasto da me toccato non è dei migliori, ma ormai che ho iniziato non mi resta che conti­nuare facendo attenzione a non sbagliare.

Vorrei chiedere il suo giudizio sul Gruppo, ma non oso perché so che esso viene espresso dai suoi successori.

Desidererei parlare bene di voi, ma so che egli vi conosce intimamente.

Mi piacerebbe trovare un modo per corrompere Pietro, vorrei mettermi in evidenza, ma purtroppo quello che ho fatto ho fatto e ora non posso aggiungere niente altro.

Vedo con chiarezza le molte grazie ricevute e anche il mio operato mi sta dinnanzi. Vedo che nel cassetto del mio comodino in stanza da letto ho lasciato degli appunti che non ho divulgato e chiedo a Pietro se mi può fare il regalo di farveli conoscere.

Con questo sotterfugio spero ottenere due risultati: far notare a Pietro che io in terra ho operato nell’apostolato e nel frattempo farmi ancor vivo a voi terrestri. Egli mi ascolta e poi mi dice: «Pensi che siano interessanti quei quattro scarabocchi che hai con­servato? Non ricordi che hanno il Vangelo e che a volte purtroppo a­scoltano soltanto ciò che piace a loro e fanno finta di non capire quando non fa loro comodo?»

Tra me penso che questa frase pur essendo vera (infatti anch’io mi sono comportato così) è poco riguardosa e non degna di essere detta da un santo. Riflettendo però sul carattere di Pietro così come è evidenziato nel Vangelo riesco allora a far scomparire la meravi­glia e ad accettare la sua focosa personalità.

Io con tono supplichevole, ma tenace insisto nell’in­vo­care il suo aiuto per poter inviare alcuni pensieri agli amici del Gruppo.

Pietro, vista la mia insistenza, mi concede il permesso dicendo­mi: «Se proprio ci tieni tanto fallo, ma fallo presto; ti ricordo però che hai già scritto un articolo con il sottotitolo “Lettera a­perta indirizzata al vento” [2] e, per lo più, è proprio andata al vento».

Pietro, quando vuole, sa proprio essere un pietrone, ma pure io sono fatto a modo mio, e, duro come un sasso ho già la penna in mano e copio gli appunti lasciati sulla terra.

  • Dio sempre ci è vicino e sempre ci guida, sta a noi saperlo ascoltare e seguirlo fedelmente in ogni istante
  • Amano di più il Signore coloro che cercano sempre di vivere con equilibrio le virtù e di due cose buone scelgono la più perfetta.
  • Chi prega poco o prega male si riconosce dalle scelte di vita che effettua.
  • Un autentico contemplativo non è un sentimentale ma una persona che dalla parola di Dio sa trarre forza e capacità per agire con amore.
  • Alcuni si trovano direttamente crocefissi dall’amore di Gesù e altri è bene che almeno stiano attenti a non scegliere la via più comoda.
  • Le difficoltà o gli errori di qualche fratello non devono essere motivo di imitazione o scusante per richiedere per sé gli stessi favori, perché ciò non favorisce la propria santificazione e danneggia tutta la comunità.
  • Su questa terra si può anche stare bene, ma il credente deve incessantemente agire per bene arrivare alla dimora eterna.
  • Deve essere una realizzazione concreta la testimonianza di fede nella vita eterna e della reale presenza di Cristo nel mondo.
  • Cerchiamo di essere poveri, veramente poveri in tutto e saremo sicuramente ricchi in Cristo. Dobbiamo credere in questa beata ricchezza e gioire nel realizzarla concretamente ogni giorno.
  • Nell’illusione di avere pochi talenti non devo assecondare la mia pigrizia e vivere nella mediocrità. La quantità dei talenti ricevuti non si conosce, ma ascoltando la retta coscienza e agendo in conseguenza si avrà modo di usarli tutti e bene.
  • Non devo fare quel poco che posso, ma tutto quello che posso.
  • Gli interventi fatti in comunità devono saper suscitare desideri di virtù e non creare difficoltà e apprensioni inutili.
  • Aver paura delle esigenti richieste di Dio vuol dire non conoscere il suo Amore.
  • Il dono più bello che una persona può fare a sé stessa è l’impegno a farsi santo.

Mentre sto velocemente scrivendo, Pietro si fa più vicino e mi invita a concludere. Osservo che nel cassetto ci sono altri biglietti e vorrei copiarli, ma mi viene impedito.

Con un gesto di impazienza dico: «Se non li trascrivo, quei pensieri andranno persi, li butteranno via!» Egli con fermezza e forse un po’ dispiaciuto a causa della mia prepotenza mi risponde: «Sei qui in attesa dell’imminente giudizio e hai ancora il coraggio di giudicare e criticare il prossimo?»

Resto allibito, perché riconosco che ha ragione. Vorrei scappa­re, nascondermi ma non posso, non ci sono né pareti né nascondigli che possano difendermi.

La luce si fa sempre più chiara e ciò mi fa pensare che sia imminente il giudizio. Ho un senso di timore e con tutto il cuore esclamo: «Dio mio misericordia!»

Pietro approva la mia frase assicurandomi che essa è l’espressione più bella che potessi dire.

Ciò mi offre una grande pace e mi dà il coraggio di riconoscere i miei peccati e presentarli tutti a Colui che verrà e che già «È».

Anche se i miei peccati mi umiliano, mi faccio forte dell’aver creduto nel sacrificio redentivo dell’Agnello che per me si è offerto in olocausto.

Tutto ciò che la Chiesa mi invitava a credere è diventato visione perfetta, reale, che mi infonde coraggio. Ogni speranza è divenuta certezza: sono inondato dalla verità. Ogni realtà la osservo nella sua perfezione per cui guardando tutto il cosmo, ma rivolgendomi soprattutto alla terra ove ancora si trova il mio corpo e ove in qualche modo ho dato inizio all’unione con l’Amore, esprimo ad essa, con una visione diversa, la mia gratitudine dicendo: «Terra, terra cara, sebbene tu sia meravigliosa scompari se ti confronto all’estasi del cielo. Terra ti amo, ma non ti rimpiango, sei stata per me utile, ma solo Dio è indispensabile. La tua generosità è stata grande, ma non infinita. Ti ringrazio per tutto quello che mi hai dato, ma qui sto per conoscere Colui che ti ha creata».

Sono innanzi al grande momento della mia vita. Conoscerò chi già conosco. Vedrò chi ho sempre visto. Sarò giudicato dal mio Misericor­dioso. Starò con chi mi ha chiamato all’eternità.

Ecco, la voce mi chiama: «Ireos, Ireos! Apri gli occhi, è ora di alzarti e di andare a lavorare». Mi sveglio, sollevo le coperte, scendo dal letto, mi inginocchio e recito il Gloria.

Inizia così una nuova giornata laboriosa nell’attesa del giudizio da parte del Padre.


[1] 2Pt 3,8-9.

[2] Si tratta di “La porta stretta”, precedentemente riportata.